TORNERA’ L’ITALIA DI “PANEBIANCO”? MA CHI È PANEBIANCO?
Primo obiettivo della Nuova Repubblica dovrà essere il ritorno alla legalità
di Salvatore Scirè
12/03/2018
Storie
ROMA. Un processo di “rieducazione civica”, non può non passare attraverso una netta riaffermazione del concetto di legalità e perciò dovrà durare almeno un paio di generazioni.
Purtroppo, “fatti furbo!” è il deleterio consiglio che, passando di padre in figlio, ha distrutto questo Paese. Prima di estirparlo dalla memoria biologica nel nostro DNA, occorreranno veramente anni, anzi, decenni. E nel frattempo, che facciamo? Continuiamo ad affondare? Ad annegare?

Nell’immediato forse non sarebbe male metter mano al Codice Penale (e anche a quello di Procedura Penale), aumentando subito in modo esemplare le pene (minimi e massimi) previste per certi odiosi reati di grande impatto socio-economico. Reintroducendo certi reati aboliti ad usum delphini (ad esempio falso in bilancio). E forse non sarebbe male neppure rivedere i tempi di prescrizione – che come ben sappiamo sono stati opportunamente dimezzati per favorire “qualcuno”... Basterebbe poco, e senza bisogno di copertura finanziaria! Oddio, forse qualche carcere nuovo bisognerà costruirlo, o comunque completare quelli già reallizzati e mai aperti.
Non tutti sanno che l’antica Roma è stata la culla del diritto: oggi tutti i sistemi giuridici dei moderni Stati, con le relative istituzioni, si basano proprio sul Diritto Romano. Certo, viene da ridere a pensare a queste cose. Purtroppo noi siamo passati con disinvoltura da concetti ideologici quali “la legge si osserva solo se è giusta” (e chi può stabilirlo con certezza?) alle leggi ad personam o ad personas...
Credo che se dobbiamo fare una rivoluzione culturale, è indispensabile premiare in primis il concetto di legalità, che si trascina dietro anche quello della meritocrazia; e già avremmo fatto un grosso passo in avanti.
A tale proposito, voglio raccontare un episodio divertente, che sembra appartenere al folklore locale, ma che calza perfettamente al nostro caso e può servire da valido campanello di allarme.
Nel paese dove sono nato, a Militello Val Catania, mi raccontano che negli anni Trenta/Quaranta girava un pittoresco personaggio – diciamo lo “sciocco del villaggio”, tanto per capirci - il quale aveva messo a punto una speciale strategia per difendersi dai lazzi dei ragazzini che lo prendevano in giro e lo infastidivano quotidianamente. Infatti, quando la gazzarra oltrepassava un certo limite, Totò Pane Bianco (così si chiamava il colorito personaggio: Totò il nome e Pane Bianco il soprannome) minacciava di arrestare qualcuno dei ragazzi!
Di fronte a tale ipotesi, la gazzarra si faceva ancora più feroce e così il povero Totò afferrava per il braccio il primo ragazzotto che gli capitava a tiro e se lo trascinava via, fino alla locale caserma dei Carabinieri.
E questo era il momento più spassoso: il “prigioniero”, infatti, diventava l’eroico protagonista del momento e un codazzo festante e allegro accompagnava i due fino alla Stazione dei CC. Appena giunti innanzi alla porta della caserma, Totò Pane Bianco mollava la presa e comunicava ufficialmente al ragazzo che da quel momento “era arrestato”, dopodiché lo lasciava innanzi alla porta della caserma (ovviamente chiusa) e se ne andava tranquillamente, tra gli applausi dei ragazzini e lo spasso del “prigioniero”, che era “libero” di riunirsi ai suoi compagni di giochi.
Ecco, seguendo le cronache giudiziarie e notando come il più delle volte le pene erogate dai tribunali della Repubblica siano poco più che ridicole, mi pare che questa sia diventata, ormai, l’Italia di Pane Bianco!
Forse se si riflettesse meglio sulla certezza della pena e sull’esemplarità simbolica della stessa, probabilmente si faciliterebbe quella “rivoluzione culturale” cui alludono i nostri politici.
E allora, cari neoeletti, coraggio! Mettiamo mano anche all’inasprimento delle pene, abbandoniamo un certo buonismo che spesso diventa complicità e favoreggiamento. Come diceva il mio docente di Criminologia, l’occasione fa l’uomo... tendenzialmente ladro!
Purtroppo, “fatti furbo!” è il deleterio consiglio che, passando di padre in figlio, ha distrutto questo Paese. Prima di estirparlo dalla memoria biologica nel nostro DNA, occorreranno veramente anni, anzi, decenni. E nel frattempo, che facciamo? Continuiamo ad affondare? Ad annegare?

Nell’immediato forse non sarebbe male metter mano al Codice Penale (e anche a quello di Procedura Penale), aumentando subito in modo esemplare le pene (minimi e massimi) previste per certi odiosi reati di grande impatto socio-economico. Reintroducendo certi reati aboliti ad usum delphini (ad esempio falso in bilancio). E forse non sarebbe male neppure rivedere i tempi di prescrizione – che come ben sappiamo sono stati opportunamente dimezzati per favorire “qualcuno”... Basterebbe poco, e senza bisogno di copertura finanziaria! Oddio, forse qualche carcere nuovo bisognerà costruirlo, o comunque completare quelli già reallizzati e mai aperti.
Non tutti sanno che l’antica Roma è stata la culla del diritto: oggi tutti i sistemi giuridici dei moderni Stati, con le relative istituzioni, si basano proprio sul Diritto Romano. Certo, viene da ridere a pensare a queste cose. Purtroppo noi siamo passati con disinvoltura da concetti ideologici quali “la legge si osserva solo se è giusta” (e chi può stabilirlo con certezza?) alle leggi ad personam o ad personas...
Credo che se dobbiamo fare una rivoluzione culturale, è indispensabile premiare in primis il concetto di legalità, che si trascina dietro anche quello della meritocrazia; e già avremmo fatto un grosso passo in avanti.
A tale proposito, voglio raccontare un episodio divertente, che sembra appartenere al folklore locale, ma che calza perfettamente al nostro caso e può servire da valido campanello di allarme.
Nel paese dove sono nato, a Militello Val Catania, mi raccontano che negli anni Trenta/Quaranta girava un pittoresco personaggio – diciamo lo “sciocco del villaggio”, tanto per capirci - il quale aveva messo a punto una speciale strategia per difendersi dai lazzi dei ragazzini che lo prendevano in giro e lo infastidivano quotidianamente. Infatti, quando la gazzarra oltrepassava un certo limite, Totò Pane Bianco (così si chiamava il colorito personaggio: Totò il nome e Pane Bianco il soprannome) minacciava di arrestare qualcuno dei ragazzi!
Di fronte a tale ipotesi, la gazzarra si faceva ancora più feroce e così il povero Totò afferrava per il braccio il primo ragazzotto che gli capitava a tiro e se lo trascinava via, fino alla locale caserma dei Carabinieri.
E questo era il momento più spassoso: il “prigioniero”, infatti, diventava l’eroico protagonista del momento e un codazzo festante e allegro accompagnava i due fino alla Stazione dei CC. Appena giunti innanzi alla porta della caserma, Totò Pane Bianco mollava la presa e comunicava ufficialmente al ragazzo che da quel momento “era arrestato”, dopodiché lo lasciava innanzi alla porta della caserma (ovviamente chiusa) e se ne andava tranquillamente, tra gli applausi dei ragazzini e lo spasso del “prigioniero”, che era “libero” di riunirsi ai suoi compagni di giochi.
Ecco, seguendo le cronache giudiziarie e notando come il più delle volte le pene erogate dai tribunali della Repubblica siano poco più che ridicole, mi pare che questa sia diventata, ormai, l’Italia di Pane Bianco!
Forse se si riflettesse meglio sulla certezza della pena e sull’esemplarità simbolica della stessa, probabilmente si faciliterebbe quella “rivoluzione culturale” cui alludono i nostri politici.
E allora, cari neoeletti, coraggio! Mettiamo mano anche all’inasprimento delle pene, abbandoniamo un certo buonismo che spesso diventa complicità e favoreggiamento. Come diceva il mio docente di Criminologia, l’occasione fa l’uomo... tendenzialmente ladro!