“LA NOTTE FA ANCORA PAURA”. L’ESORDIO NARRATIVO DI FOSCA NAVARRA

UN INNO ALLA LIBERTÀ DELLE DONNE

CRISTINA MARRA 08/05/2025
LE INTERVISTE DI CRISTINA
LA NOTTE FA ANCORA PAURALo sguardo di un gatto nero puntinato di stelle in copertina, un titolo che non passa inosservato, una scrittura che profuma di antico e di classicità, donne feline e anche ferine come protagoniste, temute e costrette in spazi fisici e psicologici troppo piccoli per loro, sono questi alcuni indizi che conducono a La notte fa ancora paura, l’esordio narrativo di Fosca Navarra.

Giovane scrittrice e poetessa, Navarra, elabora un romanzo a staffetta che è un omaggio e un inno alla libertà della donna che parte dalla memoria, dagli esempi, dalle esperienze, da protagoniste che come gatte difendono l’indipendenza e guardano le stelle, per non essere addomesticate o vittime di prevaricazioni,convenzioni,credenze, abitudini, rinunce, sacrifici, limitanti e frustranti.

Tutto inizia da Aida, splendida gatta-simbolo, della giovane Elisa che, come in un testamento, lascia le sue restanti sei vite a donne feline che in luoghi ed epoche storiche diverse sono legate da una memoria storica che le identifica e le rappresenta. Incontriamo Mabel, Lian, Madeleine, Fenan, Amy e Carmen. Ogni storia, ammantata dal sentimento dell’amore, ha una musica narrativa ritmata che fa da sfondo alla puntuale e meravigliosamente invadente costruzione dei personaggi. Navarra è una narratrice attenta ai dettagli, alle sfumature che muovono dall’animo delle protagoniste mogli,madri e figlie, e attecchiscono nel lettore, alle minuzie descrittive che diventano fondamentali per rendere il carattere, la determinazione, il coraggio, la sofferenza e il dolore di donne in combutta con i loro sogni, le loro rinunce, la loro bellezza e la necessità di guardare al cielo per diventare esse stesse una stella, divenire futuro.

Fosca, esordisci con la raccolta poetica “Perdutamente” pubblicata nel 2023, sei anche autrice di racconti, il romanzo è stato una necessità?LA NOTTE FA ANCORA PAURA

Sì, ma è una necessità che è venuta un po’ dopo quella poetica, e credo dipenda dal fatto che in poesia si sente e in prosa si ragiona. Prima di interpretare Dio costruendo nuovi universi è necessario, a mio parere, ritrovare la capacità di sentire autenticamente, come quando eravamo bambini. Per quanto riguarda invece i racconti, il discorso è diverso: questa forma di narrazione mi è poco congeniale, ma mi è servita in qualità di palestra. A me però non piace tanto parlare di fatti, non mi diverte quel che accade; voglio costruire innanzitutto i personaggi, approfondire i moti interiori più che i moti esteriori. Per fare questo, c’è bisogno di un ampio respiro che la forma breve non riesce a darmi. Ho imparato molto dai racconti, ma il mio obiettivo è sempre stato il romanzo.

Sette donne protagoniste di storie che si svolgono in epoche diverse. E’ una storia a staffetta di sette vite come quelle attribuite al gatto?

La notte fa ancora paura nasce da una riflessione di sei anni fa sul proverbio dei gatti e delle sette vite. Quando immaginai le possibili altre sei vite di questo ipotetico gatto, vidi subito che erano tutte giovani donne; e questa è stata la scintilla, il seme che ha cominciato a germogliare sempre di più, in una maniera per me inimmaginabile. Quello che doveva essere un racconto breve è diventato non soltanto il mio romanzo d’esordio, ma una stanza fondamentale del mio spirito e, soprattutto, la cosa più bella che io abbia mai fatto finora.

In esergo c’è una frase di tua nonna che fu miss Campania, il romanzo è anche una dedica a lei?

Il romanzo è dedicato a mia madre, ma mia nonna è colei che di questo romanzo ha tirato inconsapevolmente le somme. Mentre lei a poco a poco si spegneva per un cancro al cervello, io mi accingevo a scrivere l’ultimo capitolo del romanzo, sul quale avevo diverse perplessità. La protagonista della precedente stesura non mi convinceva più; era troppo passiva, volevo una ragazza più decisa e risoluta. Quando mia nonna, nella confusione della malattia, mi chiese di scrivere qualcosa su di lei, mi sentii assurdamente caricata di un peso, di un compito troppo pesante; poi dopo la sua morte lessi in un quaderno le parole esatte che ho riportato nell’esergo. Allora capii che mia nonna da giovane era la ragazza volitiva di cui aveva bisogno il mio romanzo, e che al contempo lei aveva bisogno che qualcuno si prendesse cura della sua voce. Credo anche che sia soprattutto questo il senso della letteratura: diventare custodi delle parole, non soltanto delle nostre ma anche di quelle degli altri.

Donne feline, indipendenti e libere come i gatti, come hai scelto le tue protagoniste? “Abili e autonomi” i gatti e le donne si somigliano?

Ne avrò “provinate” una dozzina; ho scelto quelle che mi parevano il connubio perfetto tra la tenacia e un’inguaribile infelicità. Tutte a loro modo soffrono, si disperano, vengono picchiate a sangue dalla sventura. Allo stesso tempo però in ognuna di loro c’è una tigre, per quanto sopita. Per quanto riguarda la somiglianza tra i gatti e le donne, la risposta è che Aida non è solo una gatta, ma è qualcosa di più. Aida è soprattutto un simbolo.

Ti senti una scrittrice-felina?

Per rispondere a questa domanda, prenderò in prestito la celebre citazione di Gustave Flaubert: in questo caso, “Aida, c’est moi”.

Se la notte fa paura bisogna affidarsi alle stelle?

Le stelle in questo romanzo sono creature complesse e decisamente ambigue. Dal momento però che nel cammino della storia questo enigma appartiene sia all’anima protagonista sia al lettore che la accompagna, preferisco lasciarlo irrisolto, così che ognuno possa trarre le proprie conclusioni.

Nel romanzo utilizzi molto i colori per rafforzare le descrizioni, dalla mano molle e bianca agli occhi di quel blu sul violetto alle iridi di un verde chiaro, selvatico.

Amo i colori perché sono simili alle parole: vedo entrambe le cose come impalpabili, incantevoli emanazioni del divino.

Quanto sono importanti la memoria, il ricordo?

Nel romanzo la memoria ha un ruolo fondamentale, ma soprattutto appare come un’entità scissa tra cuore e mente, tra istinto e razionalità. La notte fa ancora paura contiene diverse narrazioni, e una di queste è quella che rende questo lavoro non una raccolta di racconti, ma a tutti gli effetti un romanzo: la memoria, con i suoi lampi e i suoi vuoti, rappresenta un filo conduttore indispensabile. È ciò che collega ogni esistenza a partire da Aida, ma è anche ciò che frammenta quest’unica storia. La memoria è un archivio da consultare e, allo stesso tempo, uno scrigno chiuso a chiave che contiene parti irraggiungibili di noi.

Anche il senso di abbandono e solitudine attraversa le tue protagoniste?

Sarebbe stato difficile per me non parlare di qualcosa che ha plasmato la mia intera esistenza. Le mie protagoniste si sentono sole perché io mi sono sempre sentita così. Per me immaginarle diversamente avrebbe significato mutilarle.

Nel romanzo emerge anche il rapporto tra donne-madri-sorelle non ci sono amiche?

In questa storia non ci sono amiche. Ci sono due sorelle che si vogliono bene nonostante le differenze caratteriali, ma la vera grande storia d’amore di questo romanzo è una: l’amore puro e viscerale di una madre e una figlia.
 
CRISTINA MARRA

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