“LA LOCANDA DEL GATTO NERO” DI YOKOMIZO SEISHI

INTERVISTA A FRANCESCO VITUCCI TRADUTTORE DEL GIALLO GIAPPONESE EDITO DA SELLERIO

di Cristina Marra 27/05/2020
Le interviste di Cristina
cri locanda gatto neroReggio Calabria. E’ definito “il traghettatore nella cultura giapponese della detective story di scuola occidentale” e la sua popolarità eguaglia quella di Simenon, è Yokomizo Seishi che col suo detective privato Kindaichi  Kosuke arriva in Italia grazie alla lungimiranza dell’editore Sellerio che già lo scorso anno ha pubblicato il primo romanzo della serie “Il detective Kindaichi” tradotto da Francesco Vitucci.

Innovatore del genere poliziesco giapponese, Seishi è abilissimo nel mescolare tradizione letteraria con usanze nipponiche, storia post bellica con psicologia dei personaggi, finzione letteraria con realtà sociale anche per merito della accoppiata autore-protagonista, un racconto in tandem che mette al corrente il lettore del materiale narrativo fornito dallo stesso Kosuke. Dopo un delitto della camera chiusa, con “La locanda del gatto nero” l’autore propone l’ancora più intrigante genere del “delitto senza volto”.

Ambientato in una “remota località situata ai margini della linea ferroviaria Kanjo” la città di G un luogo squallido con novantanove salite e mal frequentato in cui tuttavia “è possibile ancora scoprire templi secolari e cimiteri”, una notte di marzo del 1947 l’agente Nagatanigawa per caso rinviene il cadavere senza volto di una donna sepolto nel giardino della locanda del gatto nero insieme alla carcassa del gatto a cui la locanda è dedicata.

Se le indagini si rivolgono alle abitudini di coppia dei coniugi Itojima proprietari del locale, sarà soltanto l’intervento a sorpresa dell’intuitivo, eccentrico e infallibile detective Kosuke a mettere chiarezza in una vicenda che coinvolge una mente assassina, un gatto nero e il passato oscuro che torna a galla. Francesco Vitucci, ricercatore senior in lingua giapponese all’università di Bologna ed esperto del genere mystery giapponese  ci svela qualche segreto di un autore che ha conquistato tanti lettori.

Francesco, il dopoguerra non solo fa da sfondo ma può essere considerato anche un protagonista se non addirittura un colpevole vista l' influenza degli eventi sulle scelte dei personaggi?cri locanda gatto nero

Più che un colpevole, in Yokomizo la guerra rappresenta l'ineluttabilità della storia. L'impossibilità di fuga e - quindi - di procedere nella direzione che ci si era prefissi. I protagonisti di Yokomizo (come lo stesso autore) sono costretti a subirla impotenti e sembrano quasi "incoscienti" del danno che questa stia loro arrecando. Le conseguenze sono tangibili, ma le si nota sempre troppo tardi, quando la fine è ormai sopraggiunta in modo diretto (molti dei personaggi che cita muoiono sotto il bombardamento atomico di Hiroshima o combattendo sul campo), oppure per le conseguenze indirette di questa (sfruttando il disagio causato dalla guerra per proseguire il loro viaggio finale negli "inferi");
 
Il detective Kindaichi è una sorta di Poirot e Holmes nipponico che offre il materiale all'autore biografo. E' un espediente narrativo utilizzato per creare simbiosi tra autore e protagonista o anche un metodo narrativo che Seishi utilizza per far capire ai lettori quanto la realtà può diventare finzione e viceversa essendo il giallo uno specchio sociale?
 
​Direi che la risposta più coerente è la seconda. In un passaggio de "La locanda del gatto nero" Yokomizo ce lo ricorda a p. 21 quando in un delizioso passaggio di metafinzione letteraria chiede a Kindaichi se "...fra tutti i casi enigmatici di cui si è occupato, non ve ne sia uno che superi i romanzi per la macchinosità con cui è stato commesso". Kindaichi gli risponde che: "...tra i casi di cui mi sono occupato finora, direi di no. ​Però non c'è da disperare nel mondo in cui viviamo...". ​Ovvero, insinua che osservando com'è evoluto il mondo (e il Giappone conosce una serie di drammatiche evoluzioni storico-sociali dalla fine dell'Ottocento fino alla prima metà del Novecento) si potrebbero scovare nel reale trame degne di essere descritte in una fiction. In una sorta di rapporto fruttuoso e reciproco tra letteratura e realtà. Questa convinzione viene confermata anche nell'epilogo del romanzo quando Kindaichi stesso chiede a Yokomizo se: "​analizzando i documenti che le ho inviato, lei si era accorto di quello scambio di identità?". La risposta, ovviamente è: "​Onestamente, leggendo questo romanzo, io non ne sono stato capace".  Come per dire che non esiste un confine netto tra ciò che è lecito immaginare e ricreare nella finzione e ciò che accade effettivamente nella realtà. La stessa convinzione la si rintraccia in parte anche ne "Il detective Kindaichi" quando Saburō si appassiona ai casi di cronaca internazionali e ai romanzi di delitti a porte chiuse divenendone un assoluto esperto. Anche qui lo "studio" della cronaca e della letteratura diviene fonte principale delle azioni dei protagonisti presenti nella finzione. 
 
Il gatto nero è vittima, testimone e forse anche un po' colpevole. E' un chiaro omaggio a Poe ma secondo te anche ai tanti animali che con diversi ruoli popolano la schiera di personaggi della narrativa di genere?

​Sicuramente è un omaggio a Poe, ma i gatti neri sembrano essere davvero una costante in questi due primi romanzi oltre al fatto che Yokomizo ne possedeva davvero uno. Noto solo che - purtroppo - fanno sempre una brutta fine...credo però che a Yokomizo interessasse più che altro l'alone di mistero che li avvolge. Sono animali bellissimi e deliziosi che periscono sempre per occultare i misfatti degli umani che - paradossalmente - si dimostrano sempre più feroci e spietati.  
 
Le donne. i personaggi femminili sono molto ben caratterizzati soprattutto nella loro psicologia. Seishi può essere considerato anche per questa attenzione un innovatore del giallo giapponese?

​Assolutamente sì. Questo perché a differenza di alcuni suoi predecessori come Ranpo - ad esempio - i suoi personaggi non vengono mai descritti come "malati" o semplicemente "deviati", bensì in balìa delle loro passioni umane e terrene. Se volessimo ritrovare il vero movente di questo secondo romanzo, direi che è da rintracciare proprio nell'amore che Oshige prova nei confronti di Kazama. È una donna colta nelle sue fragilità, nell'illusione di poter vivere il proprio sogno impossibile. A tutti i costi. È difatti una donna impulsiva, cinica, passionale che quasi travolge tutti coloro che si trovano a passare sul suo cammino. È merito di Yokomizo, però, avercela descritta con così tanta cura emancipandosi da una narrazione manicheista che incastonava i delitti solo ed esclusivamente nell'ambito di personalità "patologiche". Oshige non è malata. È semplicemente lei stessa. Nei suoi pregi e nei suoi difetti. È una donna. 
 
 Kindaichi è molto stimato dagli investigatori istituzionali, il loro rapporto può essere paragonato a quello di Holmes e Scotland Yard?

Assolutamente sì. La sua fama lo precede sempre anche se quando fa la sua primissima comparsa l'unico a stimarlo è il suo benefattore e - solo in seconda battuta - l'ispettore Isokawa che si accorge delle sue incredibili doti (ciò accade ne il "Il detective Kindaichi"). In questo secondo episodio, Yokomizo lo considera già un personaggio famoso. Ne è la riprova la lettera iniziale e lo scambio che lo stesso Kindaichi ha presso la stazione di polizia quando tutti si accorgono che hanno a che fare con Kindaichi Kōsuke. Quel Kindaichi Kōsuke!  C'è da dire, però, che i colleghi della polizia lo temono molto e che- in virtù di ciò - non sempre si mostrano collaborativi nei suoi confronti (ne è un esempio l'atteggiamento di Murai nei suoi confronti). C'è da aggiungere anche che  il suo aspetto esteriore cozza vistosamente con le sue eccelse doti di detective (Poirot e Holmes sono dei damerini in confronto!). È interessante notare, infatti, che lui non cambierà mai il suo abbigliamento, forse perché Yokomizo stesso cerca di ancorarlo a una tradizione autoctona che lo possa distinguere dagli altri detective stranieri. 
 
Il romanzo indaga anche i rapporti di coppia. e i rapporti familiari?

Sì. Ne "La locanda del Gatto nero" l'indagine sulla coppia protagonista è decisamente dettagliata. Potremmo dire che è il perno principale di tutta la narrazione ed è lì che Kindaichi indaga per potersi orientare nella risoluzione del delitto. La famiglia sembra essere uno dei temi principali di questi primi romanzi e lo è ancor di più ne "Il detective Kindaichi" dove in quel caso l'indagine si sviluppa intorno a una famiglia aristocratica e - in particolare - al legame di coppia che nasce tra i due novelli sposi. Bisogna riconoscere che anche in opere successive, i legami famigliari rappresentano il materiale preferito per Yokomizo. La famiglia sembra quasi essere considerata il luogo degli affetti e dei segreti più inconfessabili. Non a caso, i delitti prendono forma all'interno del nucleo familiare proprio perché sono i legami familiari ad alimentare le passioni più sordide e inaspettate. 
 
Diviso in due parti con un prologo e un epilogo, un glossario e un elenco dei personaggi  (dove mi permetto di segnalare l'assenza del gatto Kuro), il romanzo è stato pubblicato negli anni Settante ma è nato come storia a puntate?

​Sì, il romanzo nasce nel 1947 come romanzo d'appendice. Yokomizo scriveva su varie riviste letterarie tra cuiShinseinenTaishū bungei, Asahi Gurafu Bungaku jidai ma l'opera verrà raccolta solo negli anni successivamente dalla casa editrice Kadokawa che ancora oggi pubblica i suoi romanzi in Giappone. Una curiosità: la lista dei personaggi è stata inserita per l'edizione italiana Sellerio così come anche i titoli dei capitoli. Questo sia per aiutare i lettori italiani (non tutti hanno dimestichezza con i nomi giapponesi) sia perché Yokomizo appare un po' incostante in tal senso (a volte assegna titoli ai singoli capitoli, altre volte no).   
 
Da traduttore cosa ti affascina di più nella scrittura di Seishi?

​Ciò che mi affascina di più sono le sottigliezze con cui Yokomizo descrive Kindaichi. Kōsuke non è un semplice dandy narcisista e autoreferenziale. Piuttosto viene descritto come un uomo schietto, onesto, ironico e autoironico. È capace, infatti, di prendersi in giro quando balbetta e di mettere addirittura in imbarazzo i suoi interlocutori giocando su questo suo piccolo "handicap".  Contemporaneamente, la sua estrema sagacia si manifesta in toto nei dialoghi con i colleghi della polizia o quando riassume le proprie indagini. È lì che linguisticamente Yokomizo mostra tutta la sua maestria. È come se il suo innocuo detective operi una metamorfosi poiché diviene una mente superiore in grado di intercettare ciò che gli altri non riescono a vedere. Rendere questa sorta di trasfigurazione a livello interlinguistico è molto stimolante poiché pone delle responsabilità. Kindaichi non è il detective goffo e sbadato (come verrà descritto nelle varie trasposizioni a fumetti o nei cartoni animati), ma bensì un uomo che mostra tutto il suo fascino pur sempre nelle sue contraddizioni (anche qui Yokomizo è davvero un maestro nel mostrarcelo nei suoi pregi e nei suoi difetti). 
 
PS Devo ammettere che le trasposizioni televisive giapponesi degli anni Settanta hanno reso giustizia all'autore, poiché Kindaichi viene descritto quasi con le stesse identiche qualità come nei romanzi. Concludo, quindi, dicendo che anche il feedback dei lettori per me è stato fondamentale, poiché molti hanno apprezzato proprio la caratterizzazione dei personaggi. Di questo sono immensamente felice perché significa che la mia "attenzione" è stata notata e che il carattere di Kindaichi è "arrivato" al pubblico italiano. 

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