INTERVISTA A MAURIZIO PONTICELLO AUTORE DE “LA VERA STORIA DI MARTIA BASILE”

UN ROMANZO STORICO CHE CELEBRA DEGNAMENTE LA “GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE”.

di Cristina Marra 25/11/2020
Le interviste di Cristina
ponticelliReggio Calabria (foto di Stefania Furbatto). Giovanissima, ad appena dodici anni finisce sposa di un cinquantenne violento e depravato, viene venduta come merce di scambio, diventa madre, e lotta per cercare e tenersi stretto l’amore, quello vero.

Questa donna è Martia Basile ed ha vissuto nella Napoli di inizi Seicento, tra Rinascimento e età Barocca, una vita breve, troncata da una condanna a morte e segnata dalla violenza subita e ricambiata con un gesto estremo e liberatorio. 

Martia tanto bella quanto sfortunata, accusata di viricidio e processata, sarà ricordata dopo la morte dal canto di Giovanni della Carrettola, poeta e maestro di villanelle, ormai vecchio e storpio, che  aduna gente nelle piazze “dovete darmi udienza affinchè le avventure di Martia Basile non si spengano nel nulla comme na notte senza luna . Avvicinatevi, accurrite, prendete posto, allumatevi e aprite e’ rrecchie: nu cunto accussì non l’avete mai manco addorato”.

Inesattezze e censure hanno avvolto nei secoli la vicenda dell’avvenente Martia considerata un’eroina eppure sacrificata come una criminale devota a Satana. Martia era una donna tenace, forte e anticonformista, che ha resistito senza mai abbattersi alla ferocia degli uomini che l’hanno violata e violentata e che non si è arresa di fronte al dolore e alla perdita. Al richiamo del cantastorie che ha tramandato la storia della giovane amica col suo poemetto, ha risposto Maurizio Ponticello, avvicinandosi per ascoltare, per leggere tra le righe della storia popolare le incongruenze, cercare le parti occultate, regalare una nuova vita a Martia, la vita della verità.

La ricerca da sempre ha contraddistinto il percorso letterario di Ponticello, giornalista, saggista, presidente dell’associazione di giallisti NapoliNoir. Per il suo esordio nel romanzo storico ha scelto Martia ed è andato a fondo per ridarle dignità e far riemergere dal fondo i tasselli mancanti di un’esistenza troncata troppo presto, di una donna bella e non per questo colpevole o adatta a subire il male.

Con “La vera storia di Martia Basile” (Mondadori) l’autore vede con i suoi occhi, patisce i suoi dolori, entra nel suo cuore e scrive col cuore un romanzo fittissimo di particolari e ricostruzioni della Napoli di inizio Seicento. Come Martia, Ponticello percorre i vicoli bui, sente il freddo dell’inverno rigido nelle ossa e nell’animo, prova ribrezzo verso gli uomini che la violentano. Un gesto d’amore e di giustizia, quello di Maurizio Ponticello che riporta davvero Martia tra noi dando con lei voce a tutte le donne ancora vittime della violenza. 

Maurizio perché la storia di Martia Basile ti ha così affascinato da dedicarle un libro? E com’è stato il tuo lavoro di ricerca?ponticello

Nella vicenda di Martia coesistono diversi elementi che mi hanno letteralmente stregato. Tanto per cominciare, lei è stata sepolta dalla storia, anzi, direi addirittura depennata, visto che personaggi rinomati come Dickens e Croce l’hanno rinchiusa a chiave in un cassetto con su scritto «robaccia». Poi, il Seicento è fantastico di per sé: un secolo di barbarie, di repressioni sanguinarie e di lussi sfrenati, un’epoca in cui i fumi dei roghi dell’Inquisizione stanno ancora sostituendo i marmi celestiali di Michelangelo. Infine, lei, Martia: è una donna che non si arrende mai, ne patisce di tutti i colori eppure non dà mai l’idea di essere realmente una vittima. Lei è più tenace dell’acciaio, un’eroina ante litteram con una vitalità eccezionale, assolutamente sconosciuta ma non per questo troppo lontana da protagonisti assoluti come Jeanne d’Arc. Penetrare nel suo mondo è stato affannoso anche perché ho cercato di ricostruire minuziosamente le atmosfere del periodo senza escluderne i contorni: dagli abiti all’antropologia alla toponomastica della Napoli vicereale. Pensa che, soltanto per ricostruire il capitolo sul barbiere “sanguettaro”, ho studiato interi manuali scritti in quel periodo dedicati a quest’antica e diffusa arte medica.

Il titolo è La vera Storia di Martia Basile, quanto si è celato o non si è raccontato di vero su questa donna?
 
Fin dal titolo, dovrebbe essere evidente che, per diversi motivi, su Martia sono state scritte cose inesatte, e che questa che ho narrato per Mondadori è, per l’appunto, la sua “storia vera”. Le tracce che abbiamo sono quasi tutte in un poemetto di un cantastorie di piazza, un poeta girovago che nel romanzo diventa uno dei protagonisti: Giovanni della Carrettola. Lui per primo, che sicuramente la conobbe, per evitare la censura da parte del Santo Officio che vagliava ogni pubblicazione, fu costretto a edulcorare alcuni passaggi per rientrare in un cliché facendone una fedifraga meritevole del supplizio. Giovanni, in effetti, si piegò alla morale dell’epoca ma non possiamo fargliene una colpa: non avrebbe potuto fare diversamente. Nascoste fra le righe delle sue ottine, però, troviamo indicazioni sconcertanti che, messe insieme ai verbali delle deposizioni di Martia, aprono squarci inattesi sulla sua vita.
 
E’ un libro di formazione, ripercorri l’infanzia di Martia, sposa bambina fino alla sua giovinezza, vittima e carnefice, Martia è stata formata al male e alla violenza?
 
La bambina Martia è inconsapevole di ciò che le proporrà il mondo della sua epoca, e affronta la vita con la stessa leggerezza e ingenuità che affronterebbe una ragazzina di circa dodici anni. Finisce in una spirale di violenza comune conosciuta a quasi tutte le donne, e tira avanti. Il male la ferisce e la forgia e, infatti, quando arriverà il suo momento ne farà tesoro restituendo pan per focaccia con una violenza esacerbata. Come vogliamo interpretare il suo viricidio? Il gesto di una donna esasperata? L’atto liberatorio di una martire? Certo, ma così è anche tutto troppo semplice: sappiamo bene che tra vittima e carnefice s’innesca una relazione morbosa, e penso che la tua osservazione sia nel giusto. A un certo punto, in lei matura la rivolta: a questo proposito, ho scritto una scena catartica che si svolge ad Ariano Irpino e poi in una selva, è da lì che cambia tutto, quando si raggiunge il fondo.
 
Entri nella psicologia di questa donna violentata, sottomessa, ma dalla grande forza di risollevarsi e reagire, com’è stato raccontare il suo dolore?

Un’esperienza tremenda. Per raccontarli in questo modo, ho vissuto ogni secondo dei suoi tormenti. La notte me la sognavo e provavo sensazioni terribili, la sua voce mi ha perseguitato per tutta la stesura del libro. Forse è per questo motivo che, come dicono, sono riuscito a entrare nella sua anima e nel suo corpo? Non saprei, certamente ho attinto alla mia controparte femminile che, con il tempo, anche grazie a questa esperienza, è diventata molto più sensibile. Dev’essere stato spaventoso... e tuttavia la sua forza e la sua determinazione tengono tutto in piedi fino all’ultimo istante.

Violenza ma anche tanto amore, Martia lo prova per le sue figlie e lo cerca in un uomo nonostante la sua terribile esperienza col marito. Il libro è un inno all’amore di Martia, alla sua voglia di amore cantata anche da Giovanni della Carrettola. Sei d’accordo con questa mia chiave di lettura?

Oh! Grazie, finalmente, un’interpretazione che mi trova pienamente d’accordo! È esattamente così: nelle mie intenzioni c’era proprio scrivere un’ode all’amore, per Martia e di Martia. Ovviamente, però, non è soltanto quello per le proprie figlie e per il capitano straniero: la protagonista, nonostante tutto, è innamorata della vita. Ed è questa la molla che la fa riscattare ai nostri occhi moderni tramutandola in una figura eroica che non si abbatte mai. Anche davanti alla più scellerata delle nefandezze, Martia lancia un tiro di dadi per sparigliare un destino segnato dagli eventi.

 La Napoli della Contro Riforma si scontra con una comunità femminile, “le streghe”, di cosa si occupavano? Che rapporti ha avuto Martia con loro?
 
In quell’epoca determinata dai dettami del Concilio tridentino, non potevano non esserci le vittime per eccellenza: le streghe, che in Campania si chiamano janare. Mentre nelle campagne, in genere, operavano solitarie, nelle città si formarono delle comunità di donne che conoscevano i segreti arcani della natura e si riunivano segretamente per non essere processate: erano le sacerdotesse di Diana, perseguitate dal cattolicesimo poiché colpevoli di non essersi adeguate alla morale e ai costumi imposti dall’Inquisizione. Checché se ne dica, erano donne d’amore, erano le stesse che a Napoli praticavano il culto delle anime purganti, i morti senza nome (le cosiddette “anime pezzentelle”) abbandonati negli ossari comuni ai quali loro dedicavano il “refrisco”, cioè un rinfresco ai tormenti del Purgatorio. Queste donne si stringevano in autentiche sorellanze (ben poco a che fare con quelle moderne): nessuno come loro aveva il dono della consapevolezza e la conoscenza della medicina e della “magia” naturale. Chiamando il Cielo a testimone, prestavano le loro cure al corpo e all’anima, come hanno fatto con Martia Basile.
 
La vita di Martia è molto breve, nonostante siano passati oltre quattro secoli, possiamo considerarla un personaggio di donna attuale per il suo rapporto con la violenza e i soprusi?
 
Martia è di un’attualità sconvolgente, non si direbbe mai una donna vissuta quattrocento e più anni fa. Abusi e violenze sono sempre esistite ma è l’atteggiamento che in Martia cambia e ne fa un’antesignana della coscienza femminile. Per diventare donna, deve attraversare l’Inferno: lei sa leggere e scrivere, è costretta a nasconderlo ma continua a farlo fregandosene di essere nel “peccato”; le vicissitudini la portano all’autodeterminazione; le angherie e i maltrattamenti alla rivolta; la ribellione contro l’ottuso patriarcato d’ispirazione tridentina al sacrificio. E non solo questo: l’imputazione di viricidio si ribalta in un “femminicidio”. A parte l’accusa di essere capace di leggere – perché oggi la lettura sembra una prerogativa quasi tutta femminile –, tutto il resto non è attualissimo? Poi, chiaramente, ci sono anche i risvolti psicologici e tanto altro.
 
Il personaggio di Giovanni è non solo quello che cantando la storia di Martia ne tiene vivo il ricordo ma leggendo in un contesto più poliziesco possiamo considerarlo un testimone del crimine perpetrato contro Martia?

Per quanto ne sappiamo, il poeta Giovanni fu l’unico testimone oculare dei delitti di Martia, sia di quello efferato compiuto da lei sia di quello subito dall’ipocrisia del governatore e del Santo Officio, e possiamo davvero considerarlo come un teste presente sulla scena del crimine, fra l’altro minacciato perché non riferisse tutta la verità. L’incipit del romanzo racconta proprio questo: tanti anni dopo i fatti, mentre in una piazza affollata del 1631 il cantastorie declama il suo poemetto scritto su Martia, è avvicinato da un uomo che è lì per accertarsi che certe notizie rimaste seppellite non fossero svelate... La sensazione è che Giovanni abbia voluto infilare un messaggio in una sorta di bottiglia affinché, da quell’epoca buia, la sua testimonianza arrivasse lontano, forse a occhi nuovi capaci di decifrarla. Che cosa celò fra le righe? Il poeta velò abilmente parole e fatti e, in questo modo, cercò di salvarsi la pelle dalla censura dell’Inquisizione, e comunque di onorare la bella Martia Basile.

Il romanzo è storico, tanta ricerca mescolata alla fiction, appare subito molto ricco, denso di atmosfere, suoni, linguaggi, sapori e odori degli inizi del Seicento. In quanto tempo lo hai scritto?

È stato un impegno costante: direi circa un anno e mezzo per una decina di ore al giorno, tutti i giorni. E non è che fossi a digiuno di quel periodo... Per convincere il lettore di essere precipitato in un’epoca storica così lontana, l’autore deve prendere una macchina del tempo e immergersi fino alla cima dei capelli nell’età che intende raccontare. Per evitare che la narrazione appaia distaccata e poco veritiera, infatti, si devono sentire e conoscere profondamente gli avvenimenti, la cultura, il contesto sociale, i profumi e i cattivi odori, la lingua parlata, i costumi e le tradizioni... A meno che non si voglia restarne fuori deliberatamente con distacco, bisogna trasferirsi nel teatro degli eventi e rimanerci almeno fino a quando il lavoro è terminato. Se l’esperienza è davvero totalizzante come dovrebbe, la cosa difficile – e ciò sia per l’autore sia per il lettore – è venirne fuori.

I protagonisti di solito restano addosso ai loro autori. Da come ne hai scritto traspare una conoscenza approfondita del suo mondo, della sua psicologia. Martia ormai fa parte di te?

Mi piacerebbe dire che io Martia siamo una cosa sola ma non è del tutto così. Lei mi è rimasta addosso, è vero, la sento dentro, rido, piango e parlo con lei: sono la sua voce, e tuttavia questa voce sta arrivando potentemente ai lettori che, a loro volta, la adottano e la rilanciano. Martia è parte di me, ciò nondimeno è di tutti, nella stessa maniera in cui, da quando è pubblicato, un libro appartiene solo parzialmente al suo autore. Perciò, se mi consenti, dato che le ho donato una nuova vita, lancerei un appello a chi ci legge: trattatela bene, Martia Basile ha bisogno di cure, e del vostro amore.

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