INTERVISTA A LUCA CROVI AUTORE DEL GIALLO “L’ULTIMA CANZONE DEL NAVIGLIO

TORNA IL COMMISSARIO CARLO DE VINCENZI NELLA MILANO DEI FATIDICI ANNI VENTI.

di Cristina Marra 03/03/2020
Le interviste di Cristina
luca croviMilano. “Il poeta del crimine, l’uomo che tutti i giorni doveva affrontare i malnatt della lìgera ma anche altri tipi di ladri e assassini” si affaccia alla finestra della Questura in piazza San Fedele a Milano e lo investe un’aria nuova, è l’odore della benzina delle auto che piano piano si fanno vedere in città, ma è anche un odore che sa di timori.

Comincia con quest’aria di cambiamento e progresso ma anche di obblighi e imposizioni “L’ultima canzone del Naviglio”, il secondo romanzo di Luca Crovi con protagonista il commissario Carlo De Vincenzi.

Già noto con le storie del suo creatore Augusto De Angelis, il commissario-poeta ritorna sulla scena del giallo made in Italy grazie all’abile capacità narrativa di Crovi che ridà voce a un personaggio entrato nella storia del nostro poliziesco e che, senza urlare, sa raccontare la Milano degli ultimi anni Venti respirandone profumi e olezzi, sentendone grida e sussurri e assaporandone gusti e fragranze. luca crovi

Luca Crovi, redattore alla Bonelli Editore, conduttore radiofonico e grande esperto del genere poliziesco, sa giocare con le storie e con la Storia e racconta la sua Milano che, nel 1929 comincia a patire i primi cambiamenti forzati del nuovo regime di polizia e della nuova criminalità. Siamo in inverno ed è una stagione di freddo eccezionale che fa cadere la neve in città e che raffredda anche i cuori. Il romanzo racconta quanto accade al centro, alla Scala con le resistenze del maestro Toscanini di fronte alle insistenze della milizia fascista di eseguire brani del regime, ma si insinua anche nei quartieri più popolari e caratteristici come il Bottonuto, in cui la mala meneghina deve fare i conti con i fascisti fino ad arrivare alla basilica di sant’Ambrogio e davanti alla Colonna del Diavolo dove viene trovato il cadavere congelato di una donna sotto una spessa coltre di neve, fino ad arrivare ai Navigli e al loro destino preannunciato dalla morte di barcaiolo.

Crovi racconta con un ritmo musicale che segue l’evolversi della vicenda accompagnando il lettore quasi per mano tra le strade di Milano insieme a De Vincenzi, grande camminatore e osservatore che si ferma spesso davanti alla fontana delle Quattro stagioni per ricordare il passato che ancora brucia come una ferita e per trovare risposte ai suoi dubbi e alle domande che il caso impone.

De Vincenzi detective e poeta. Quanto e in cosa è cambiato rispetto al precedente romanzo?

E’ cresciuto molto, ha una coscienza civile forte e deve vedersela con il suo essere uomo e poliziotto in una città come Milano. Inoltre, questa volta faccio emergere il suo passato di volontario che ha aiutato gli sfollati raccolti dall’Umanitaria e anche quello di ufficiale militare al fronte.

l romanzo si apre con un acre odore di benzina, quello delle automobili che invadono Milano. Gli odori hanno un grande ruolo nella tua serialità. In questo romanzo quale altro odore troviamo che caratterizza la Milano del 1929?

Si sente forte l’odore della paura che comincia a circolare in città da quando il sistema di polizia è cambiato e gli attentati e le truffe sembrano essere aumentati. L’odore malsano proveniente dai navigli era già presente in città e fu solo una scusa che favori la chiusura della cerchia interna.

Automobili ma anche tante spiciule. De Vincenzi è un gran camminatore ma ha anche una bici a cui è affezionato?

Le biciclette all’epoca erano il mezzo più usato insieme al tram in città. Ci erano grandi corse e i campionati di ciclismo erano seguitissimi. Il mercato produceva bici per tutti i gusti, per velocipedi, per tramvieri, per operai, per ghisa e pure e ovviamente il mercato degli spiciulisti, i ladri di bici era attivissimo come oggi. Erano dei professionisti nel ciulare le biciclette così c’erano specialisti nel proteggerle e ripararle. Le bici di quel periodo sono ricercatissime dai collezionisti e tuttora in uso se ben conservate.

La Scala, Sant’Ambrogio e il Falstaff. Dentro la Scala tempio della musica lirica cominciano a percepirsi gli obblighi e le pretese fasciste ma sono altre le canzoni che diventano la colonna sonora del romanzo?

Gli inni fascisti non vennero suonati ripetutamente da Toscanini che li trovava poco musicali mentre per strada si cantavano canzoni come “Stramilano” e nei locali anarchici spuntavano ballate che mettevano alla berlina la canzone fascista. Pezzi legati al risorgimento come “La bella gigogin” erano spesso intonati e proprio in quegli anni si fa le ossa Giovanni D’Anzi che nel 1935 comporrà “Oh Mia bella Madunina”, il vero e proprio inno di Milano.

La struttura del romanzo è molto musicale e poi ogni capitolo è un racconto a sé. Perché hai scelto di raccontare così “L’ultima canzone del Naviglio”?

L’idea era di fare un’opera in tre atti in crescendo come un’opera lirica. Tutti i capitoli sono un racconto che si può leggere a parte e che però costituisce una parte della storia, solo alla fine della storia i lettori capiscono perché li ho concatenati così. Io stesso ho scritto le storie separatamente e poi le ho montate eseguendole come se fossero parti di una canzone.

Il Generale Inverno arriva a Milano. Che atmosfere e che disagi porta in città?


Questo terribile evento climatico portò la città a reagire nonostante l’emergenza e grazie ai tram Milano non si fermò al contrario di altre città. Inoltre Il Generale Inverno permise ai milanesi di sciare al Castello e di attuare forme di riscaldamento alternative. Se la videro peggio i soldati di Napoleone quando lo affrontarono decenni prima in Russia.

Naviglio e draghi, che rapporto c’è tra loro?

In realtà il rapporto speciale che racconto io fra il fiato dei draghi, la scighera (la nebbia) e i Navigli è frutto di una mia suggestione che ho evidenziato in un libro illustrato da Paolo Barbieri che si intitola “Draghi, dirigibili e mongolfiere” e che ho poi fatto riaffiorare nella storia di De Vincenzi.

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