“IL TRENINO DI LATTA” DI SIMONA D’ANGELO
UN LIBRO ALLA RICERCA DI UN PALCOSCENICO
di Salvatore Scirè
08/06/2023
Letto e recensito
Roma. E’ fuori dubbio che il treno, anzi il trenino, è sempre stato un giocattolo assai apprezzato dai bimbi di tutte le epoche. Che poi, non a caso, ci si continua a giocare anche da grandi!
Può anche capitare che il trenino diventi pure uno speciale oggetto, che richiama molti ricordi, belli, meno belli, sicuramente vivi e sempre presenti, in tutta la loro valenza.
Simona D’Angelo, attrice, autrice e regista siracusana, trapiantata a Palermo, partendo da questa idea, ha voluto scrivere un dramma teatrale, un atto unico dal titolo, appunto, IL TRENINO DI LATTA, che ha voluto dare alle stampe come volumetto, ancor prima di metterlo in scena.
Abbiamo letto con interesse e con attenzione questo libro, contenente una storia umana certamente veritiera e verosimile, anche se molto, molto particolare.
Diciamo subito che la scena è ambientata in un teatrino di periferia, dove compagnie minori si cimentano con l’arte. Carla Nocerino sta sistemando il palcoscenico per preparare uno spettacolo imminente, allorquando viene raggiunta dal fratello minore, Matteo Nocerino, medico ospedaliero.
Questi informa la sorella che stanno per essere raggiunti dal padre, Luigi Nocerino, attore e regista internazionale di grande successo, che però i ragazzi hanno visto una sola volta nella loro vita: praticamente abbandonati, o quanto meno dimenticati dal padre, che ora, però, è malato di Alzheimer ed è ricoverato in una casa di cura. Matteo con la complicità dei colleghi medici, ha voluto combinare questo incontro, per tentare di infrangere antiche barriere affettive, specialmente rudi e decise da parte di Carla, la quale a suo tempo aveva vissuto l’abbandono o meglio l’allontanamento del padre con grande dolore, aggravato dalla successiva scomparsa della madre.
Una vecchia canzone, suonata da un antico grammofono a tromba, ricorda proprio la storia d’amore tra i genitori, che si erano conosciuti in treno. Ed un trenino di latta – anche se privo dell’ultimo vagone – era l’unico regalo del padre Luigi, fatto in occasione dell’unica visita alla famiglia. Ed il trenino è un oggetto di scena!
In tale contesto si sviluppa un acceso contrasto fra i due fratelli, Matteo propenso ad occuparsi del padre, come dovere morale e affettivo, e Carla invece, rigidamente contraria a riaccettarlo tra le persone care.
Di quell’unico incontro avuto nell’infanzia, Carla ha tenuto impresso nella memoria il profumo dell’acqua di colonia che il papà usava: era curiosa di conoscerne il nome.
Poco a poco, Carla ricorda le fantasie che quel trenino accendeva in loro, ricorda dei momenti teneri vissuti durante la malattia della madre, ricoverata senza speranza in un ospedale, con Matteo bimbo che pregava la Madonnina e che prometteva di voler fare il medico per aiutare chi ha bisogno.
Insomma, l’atmosfera sembra ammorbidirsi un poco, quando giunge Luigi, accompagnato da operatori sanitari, che però non riconosce minimamente i suoi figli: la malattia ha totalmente vanificato il suo intelletto. Ricorda solo il grande amore per la mamma, le due gravidanze, le nascite. I tre parlano, di molte cose, di teatro, si confrontano, ma continuano a trattarsi come estranei. Poi vede il treno: ricorda di averne regalato uno uguale ai figli. Carla e Matteo gli chiedono come mai manca un vagone del trenino: in effetti, era rimasto nella tasca del cappotto, lo aveva voluto tenere con sé come ricordo di questi due figli.
La storia è drammaticamente romantica, comunque piacevole. Sarà interessante vederla in scena come pièce teatrale. Con molti auguri!
Il volumetto è ben fatto, corredato da disegni accattivanti, che si ispirano al palcoscenico. Bella la prefazione di Massimo Benenato.
Salvatore Scirè
Può anche capitare che il trenino diventi pure uno speciale oggetto, che richiama molti ricordi, belli, meno belli, sicuramente vivi e sempre presenti, in tutta la loro valenza.
Simona D’Angelo, attrice, autrice e regista siracusana, trapiantata a Palermo, partendo da questa idea, ha voluto scrivere un dramma teatrale, un atto unico dal titolo, appunto, IL TRENINO DI LATTA, che ha voluto dare alle stampe come volumetto, ancor prima di metterlo in scena.
Abbiamo letto con interesse e con attenzione questo libro, contenente una storia umana certamente veritiera e verosimile, anche se molto, molto particolare.
Diciamo subito che la scena è ambientata in un teatrino di periferia, dove compagnie minori si cimentano con l’arte. Carla Nocerino sta sistemando il palcoscenico per preparare uno spettacolo imminente, allorquando viene raggiunta dal fratello minore, Matteo Nocerino, medico ospedaliero.
Questi informa la sorella che stanno per essere raggiunti dal padre, Luigi Nocerino, attore e regista internazionale di grande successo, che però i ragazzi hanno visto una sola volta nella loro vita: praticamente abbandonati, o quanto meno dimenticati dal padre, che ora, però, è malato di Alzheimer ed è ricoverato in una casa di cura. Matteo con la complicità dei colleghi medici, ha voluto combinare questo incontro, per tentare di infrangere antiche barriere affettive, specialmente rudi e decise da parte di Carla, la quale a suo tempo aveva vissuto l’abbandono o meglio l’allontanamento del padre con grande dolore, aggravato dalla successiva scomparsa della madre.
Una vecchia canzone, suonata da un antico grammofono a tromba, ricorda proprio la storia d’amore tra i genitori, che si erano conosciuti in treno. Ed un trenino di latta – anche se privo dell’ultimo vagone – era l’unico regalo del padre Luigi, fatto in occasione dell’unica visita alla famiglia. Ed il trenino è un oggetto di scena!
In tale contesto si sviluppa un acceso contrasto fra i due fratelli, Matteo propenso ad occuparsi del padre, come dovere morale e affettivo, e Carla invece, rigidamente contraria a riaccettarlo tra le persone care.
Di quell’unico incontro avuto nell’infanzia, Carla ha tenuto impresso nella memoria il profumo dell’acqua di colonia che il papà usava: era curiosa di conoscerne il nome.
Poco a poco, Carla ricorda le fantasie che quel trenino accendeva in loro, ricorda dei momenti teneri vissuti durante la malattia della madre, ricoverata senza speranza in un ospedale, con Matteo bimbo che pregava la Madonnina e che prometteva di voler fare il medico per aiutare chi ha bisogno.
Insomma, l’atmosfera sembra ammorbidirsi un poco, quando giunge Luigi, accompagnato da operatori sanitari, che però non riconosce minimamente i suoi figli: la malattia ha totalmente vanificato il suo intelletto. Ricorda solo il grande amore per la mamma, le due gravidanze, le nascite. I tre parlano, di molte cose, di teatro, si confrontano, ma continuano a trattarsi come estranei. Poi vede il treno: ricorda di averne regalato uno uguale ai figli. Carla e Matteo gli chiedono come mai manca un vagone del trenino: in effetti, era rimasto nella tasca del cappotto, lo aveva voluto tenere con sé come ricordo di questi due figli.
La storia è drammaticamente romantica, comunque piacevole. Sarà interessante vederla in scena come pièce teatrale. Con molti auguri!
Il volumetto è ben fatto, corredato da disegni accattivanti, che si ispirano al palcoscenico. Bella la prefazione di Massimo Benenato.
Salvatore Scirè