“GLI ULTIMI GIORNI DI QUIETE” DI ANTONIO MANZINI
IL DOLORE DI UNA PERDITA CONTRO NATURA, SOPRAVVIVERE A UN FIGLIO UCCISO DA UN RAPINATORE. NOSTALGIA DEI GIORNI DI QUIETE.
di Cristina Marra
10/11/2020
Letto e recensito
Reggio Calabria. Corre veloce il treno, è un Freccia rossa che urla nelle orecchie quando incontra l’interregionale e sveglia di soprassalto Nora e la sua fiducia svanita come se fosse fuggita via con l’alta velocità.
Ha sessantaquattro anni e dal 12 marzo del 2010 la fiducia l’ha perduta, non si fida delle persone e del mondo intero.
Ha solo un nome tatuato sul cuore oltre che sull’avambraccio, quello di Corrado, che le scorre nelle vene e le bagna le guance di lacrime come fa la pioggia che scivola sui finestrini mentre “ il mare era marrone e i cavalloni schiaffeggiavano i frangiflutti mezzi affogati a venti metri dalla riva”.
Comincia con Nora e il suo viaggio su un treno che percorre chilometri e diventa custode del passato doloroso e si apre a un presente ancora più atroce che ingloba ossessione, missione, vendetta, il nuovo romanzo di Antonio Manzini “Gli ultimi giorni di quiete” edito da Sellerio che sfugge a ogni definizione di genere e diventa racconto di un’esperienza tanto reale da far venire i brividi e punta l’obiettivo su una narrazione che come un flusso di coscienza trascina il lettore con sé, su quel treno, nelle maglie di una vicenda in cui la vita di chi sopravvive alla morte del figlio diventa in bianco e nero come lo è quella dell’omicida che tenta di ricominciare dopo aver scontato una pena troppo breve anche per la sua coscienza.
Sta tornando a Pescara, Nora, quando “una mano di ferro le strizza il cuore”, in un solo attimo lo sguardo si posa su un passeggero e un flash la acceca come la luce biancastra che si accende nel treno in galleria. Lui è lì, nel suo stesso vagone, libero. Lei in apnea da sei anni insieme a suo marito Pasquale che la aspetta nella loro tabaccheria di Pescara che da quella data terribile si è trasformata nel luogo della tragedia, del blackout.
Lì il loro unico figlio Corrado è morto ucciso da un rapinatore. Adesso quell’uomo viaggia sullo stesso treno di Nora, Paolo Dainese, ha già finito di scontare la pena per aver tolto la vita a Corrado. Che cosa prova Nora? Come reagisce Pasquale quando la moglie lo informa? Che cosa ha lasciato in Paolo quell’omicidio?
Tre personaggi che hanno qualcosa di sottratto, di perso, di tolto e sopra di loro Corrado che non ha più un posto, non ha più la vita.
Manzini scrive un romanzo sul dolore per una perdita contro natura ma anche sulla vita che continua in modo diverso, in modo spento, ma continua. Il paesaggio cittadino, il mare, le montagne, la pioggia o il sole si fanno personaggi, partecipano alla scena e si fanno espressione di azioni emozioni dei protagonisti.
Tre personaggi, tre punti vista, tre psicologie, tre cuori feriti e sanguinanti. L’autore sviscera sensi di colpa per vivere ancora, per esserci dopo Corrado, per respirare al suo posto, nostalgia dei giorni di quiete, di quella normalità che era serenità, voglia di vendetta per placare la rabbia che fa sentire “quell’odio ringhiare come un mostro vulcanico che ribolliva minaccioso pronto a spandere lava tutt’intorno alla prima scossa tellurica”, per lenire la stretta al cuore.
Se per Pasquale il dolore è suo, lo deve affrontare da solo “ci si doveva immergere, berlo tutto, non rinunciare neanche a una goccia, tanto prima o poi quello sarebbe tornato”, per Nora “sarebbe bello anche solo per un minuto, che questo dolore se ne andasse. Un respiro d’aria pura per ricordare anche per pochi secondi com’era vivere prima, quando Corrado era accanto a lei” ma non c’è un angolo in cui cercare rifugio dal dolore e non le resta che cercare Corrado nelle sue piante grasse che ornavano il terrazzo e ora sono piantate sulla tomba, piante dure a morire che però “non avevano trasmesso a suo figlio quella qualità”.
E poi c’è Paolo, “Corrado Camplone. Non pensava a quel nome da anni. Lo aveva evitato il ricordo di quel pomeriggio di merda…Un solo gesto inchioda quattro persone per sempre, a quel giorno di marzo di quasi sei anni prima. La sua vita s’era fermata insieme a quella di Corrado Camplone, di sua madre e di suo padre”.
Manzini non risparmia nessuna sensazione, non trascura nessuno stato d’animo, non nasconde nessuna delle strategie psicologiche che spingono i personaggi ad aggrapparsi a una possibile soluzione per alleggerirsi dal dolore. Sguardo puntato sulle scelte di Nora e Pasquale che autonomamente decidono di mettersi sulle tracce di quell’uomo e fare giustizia con due piani differenti e altrettanti personaggi di contorno, Umberto, Donata, Francesca, Danilo, Alfonso, specchi di altre realtà, di piccole e grandi sofferenze, di compromessi con la vita che continua a correre come un treno, come una moto.
Incipit: A duecento chilometri orari, il Frecia Rossa incrociò l'interregionale e urlò nelle orecchie dei passeggeri. Nora si svegliò di soprassalto con il cuore in gola. Si guardò intorno spaventata.
Autore Antonio Manzini
Titolo Gli ultimi giorni di quiete
Editore Sellerio
Prezzo euro 14,00
Ha sessantaquattro anni e dal 12 marzo del 2010 la fiducia l’ha perduta, non si fida delle persone e del mondo intero.
Ha solo un nome tatuato sul cuore oltre che sull’avambraccio, quello di Corrado, che le scorre nelle vene e le bagna le guance di lacrime come fa la pioggia che scivola sui finestrini mentre “ il mare era marrone e i cavalloni schiaffeggiavano i frangiflutti mezzi affogati a venti metri dalla riva”.
Comincia con Nora e il suo viaggio su un treno che percorre chilometri e diventa custode del passato doloroso e si apre a un presente ancora più atroce che ingloba ossessione, missione, vendetta, il nuovo romanzo di Antonio Manzini “Gli ultimi giorni di quiete” edito da Sellerio che sfugge a ogni definizione di genere e diventa racconto di un’esperienza tanto reale da far venire i brividi e punta l’obiettivo su una narrazione che come un flusso di coscienza trascina il lettore con sé, su quel treno, nelle maglie di una vicenda in cui la vita di chi sopravvive alla morte del figlio diventa in bianco e nero come lo è quella dell’omicida che tenta di ricominciare dopo aver scontato una pena troppo breve anche per la sua coscienza.
Sta tornando a Pescara, Nora, quando “una mano di ferro le strizza il cuore”, in un solo attimo lo sguardo si posa su un passeggero e un flash la acceca come la luce biancastra che si accende nel treno in galleria. Lui è lì, nel suo stesso vagone, libero. Lei in apnea da sei anni insieme a suo marito Pasquale che la aspetta nella loro tabaccheria di Pescara che da quella data terribile si è trasformata nel luogo della tragedia, del blackout.
Lì il loro unico figlio Corrado è morto ucciso da un rapinatore. Adesso quell’uomo viaggia sullo stesso treno di Nora, Paolo Dainese, ha già finito di scontare la pena per aver tolto la vita a Corrado. Che cosa prova Nora? Come reagisce Pasquale quando la moglie lo informa? Che cosa ha lasciato in Paolo quell’omicidio?
Tre personaggi che hanno qualcosa di sottratto, di perso, di tolto e sopra di loro Corrado che non ha più un posto, non ha più la vita.
Manzini scrive un romanzo sul dolore per una perdita contro natura ma anche sulla vita che continua in modo diverso, in modo spento, ma continua. Il paesaggio cittadino, il mare, le montagne, la pioggia o il sole si fanno personaggi, partecipano alla scena e si fanno espressione di azioni emozioni dei protagonisti.
Tre personaggi, tre punti vista, tre psicologie, tre cuori feriti e sanguinanti. L’autore sviscera sensi di colpa per vivere ancora, per esserci dopo Corrado, per respirare al suo posto, nostalgia dei giorni di quiete, di quella normalità che era serenità, voglia di vendetta per placare la rabbia che fa sentire “quell’odio ringhiare come un mostro vulcanico che ribolliva minaccioso pronto a spandere lava tutt’intorno alla prima scossa tellurica”, per lenire la stretta al cuore.
Se per Pasquale il dolore è suo, lo deve affrontare da solo “ci si doveva immergere, berlo tutto, non rinunciare neanche a una goccia, tanto prima o poi quello sarebbe tornato”, per Nora “sarebbe bello anche solo per un minuto, che questo dolore se ne andasse. Un respiro d’aria pura per ricordare anche per pochi secondi com’era vivere prima, quando Corrado era accanto a lei” ma non c’è un angolo in cui cercare rifugio dal dolore e non le resta che cercare Corrado nelle sue piante grasse che ornavano il terrazzo e ora sono piantate sulla tomba, piante dure a morire che però “non avevano trasmesso a suo figlio quella qualità”.
E poi c’è Paolo, “Corrado Camplone. Non pensava a quel nome da anni. Lo aveva evitato il ricordo di quel pomeriggio di merda…Un solo gesto inchioda quattro persone per sempre, a quel giorno di marzo di quasi sei anni prima. La sua vita s’era fermata insieme a quella di Corrado Camplone, di sua madre e di suo padre”.
Manzini non risparmia nessuna sensazione, non trascura nessuno stato d’animo, non nasconde nessuna delle strategie psicologiche che spingono i personaggi ad aggrapparsi a una possibile soluzione per alleggerirsi dal dolore. Sguardo puntato sulle scelte di Nora e Pasquale che autonomamente decidono di mettersi sulle tracce di quell’uomo e fare giustizia con due piani differenti e altrettanti personaggi di contorno, Umberto, Donata, Francesca, Danilo, Alfonso, specchi di altre realtà, di piccole e grandi sofferenze, di compromessi con la vita che continua a correre come un treno, come una moto.
Incipit: A duecento chilometri orari, il Frecia Rossa incrociò l'interregionale e urlò nelle orecchie dei passeggeri. Nora si svegliò di soprassalto con il cuore in gola. Si guardò intorno spaventata.
Autore Antonio Manzini
Titolo Gli ultimi giorni di quiete
Editore Sellerio
Prezzo euro 14,00