“CREPITIO DI STELLE” DI JÒN KALMAN STEFÀNSSON

SINFONIA DI STORIE D’AMORE, DI RICORDI, DI LEGAMI APPASSIONATI NELL’ULTIMO ROMANZO DELLO SCRITTORE ISLANDESE.

di Cristina Marra 28/10/2020
Letto e recensito
CREPITIO DI STELLEReggio Calabria. “Le enormi forbici del negozio Vogue ritagliano il passato e l’appartamento fluttua nel vuoto siderale come un pianeta in cerca di un sole”, è il passato della famiglia del protagonista di “Crepitio di stelle” di Jòn Kalman Stefànsson, fatto di storie d’amore, di legami indissolubili o fragili, di ricordi e di sfide.

Stefànsson, autore islandese molto amato e vincitore di premi prestigiosi, ripercorre le esistenze di quattro generazioni di uomini e donne di famiglia, dai bisnonni fino a quella dell’io narrante, con la sua scrittura poetica e evocativa le fa emergere dal tempo intersecandole con quella attuale del protagonista che da bambino si ritrova quarantenne.

Le storie d’amore di nonni, bisnonni e genitori sono diverse ma tutte fortissime e da tenere strette per il protagonista che adesso sforbicia e ritaglia “la nebbia del passato”, stacca scampoli di racconti, unisce pezzetti di emozioni rimaste nell’aria, sassi e conchiglie, voci e suoni di un lungo arco temporale. Protetto dal suo esercito di soldatini, il protagonista bambino sfida paure e dolori, solitudini e attese e racconta la sua quotidianità di orfano di madre, con l’arrivo di una nuova donna in casa il cui silenzio “ è un oceano sterminato che è difficile attraversare”.

L’autore racconta una storia di formazione al dolore oltre che alla vita e il  suo protagonista-specchio ricerca brandelli di identità anche nei luoghi che gli suggeriscono suggestioni e aneddoti.

Diviso in quattro parti e tradotto da Silvia Cosimini, “Crepitio di stelle” è uno sguardo sul mondo islandese visto con gli occhi dell’infanzia fino alla maturità, occhi che hanno visto la morte e sanno coltivare l’amicizia, e guardano in sù, la luna che “veleggia negli squarci tra le nubi e riversa il suo fuoco bianco e freddo sulla città”.

Reykjavìk, il ghiacciaio, il mare, i luoghi solitari, ma anche  la stanza della soffitta a Vesturgata, la libreria o il corridoio con la moquette, sono tappe del viaggio emotivo e della ricostruzione storico-sociale dell’autore che tocca il conflitto mondiale, l’epidemia della Spagnola, i rapporti interpersonali, il potere evocativo dei luoghi, i sentimenti, le passioni e le amicizie. Il protagonista viaggia nei ricordi, sorretto e protetto dai suoi soldatini piccoli e vigili e dallo sguardo lontano della madre che lo ha lasciato troppo presto.

Macrocosmo e microcosmo si passano la staffetta e Stefànsson si sofferma sull’amore tra il bisnonno e la sua splendida diciassettenne “bella come una rivoluzione, profuma come un pendìo di erica” i tormenti del padre, manovale, che soffre la solitudine e cerca la sua donna sparita come fanno le poesie “quando pensi di averle afferrate dal profondo e riesci a toccarle con le dita, misteriose e indecifrabili, si dissolvono e ti lasciano lì da solo”, la mano del piccolo amico Pétur “belle come la lingua italiana, bianche come la luna”.   

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