“IN NOME DEL PAPA RE”, LUIGI MAGNI ADATTATO DA ANTONELLO AVALLONE

AL TEATRO FLAIANO CON LE ATMOSFERE E I RITMI DEL CINEMATOGRAFO

di Salvatore Scirè 18/11/2019
Recensione teatro
nel nome del papa reRoma. Al Teatro FLAIANO si sono appena concluse le repliche di un capolavoro scritto da Luigi Magni, nell’adattamento teatrale curato da Antonello Avallone, che ne ha curato egregiamente anche la regia: stiamo parlando di  IN NOME DEL PAPA RE. Un lavoro già allestito altre volte in passato, e che per Avallone ha sempre avuto il significato di un ricordo e di un omaggio affettuoso al grande Luigi Magni e al film che ne consacrò il successo, grazie anche all’interpretazione di grandi attori come Nino Manfredi, Enrico Maria Salerno, Ugo Tognazzi e Claudia Cardinale.  

La storia è abbastanza nota, ma vale la pena accennarvi. Siamo nella Roma  pontificia del 1867; Garibaldi è già a Monterotondo,  i rivoluzionari sono in fermento: combattono l’ideologia del “Papa Re”, sognano un’Italia unita e sono disposti a tutto per ottenere la libertà, anche a compiere degli attentati. Due popolani, Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, sono accusati di aver compiuto una strage di zuavi francesi e vengono così condannati a morte: sarà l’ultima condanna pronunciata “in nome del Papa Re” ed eseguita mediante il “taglio della testa” da Mastro Titta, il famoso boia pontificio. E fin qui la narrazione drammaturgica risponde perfettamente  al fatto storico.
In tale contesto, poi, la fervida fantasia creativa di Luigi Magni inserì una tenera e struggente vicenda umana, immaginando la presenza di un terzo congiurato, tale Cesarino Costa, figlio illegittimo di una nobildonna romana, la contessa Flaminia: il giovane verrà salvato da Mons. Colombo da Priverno, al quale la donna si era rivolta implorando aiuto e rivelandogli che in realtà Cesarino era “loro figlio”, ovvero frutto di un incontro casuale avvenuto 19 anni prima, ai tempi della Repubblica Romana!
Il Monsignore, Giudice del Sacro Collegio giudicante, già in profonda crisi di coscienza circa il cosiddetto “potere temporale”, riesce a salvare il ragazzo, per il quale dimostra subito comprensione ed affetto paterno, ma, quando la salvezza sembra ormai a portata di mano, Cesarino verrà ucciso dal conte Ottavio, il marito della contessa Flaminia, che erroneamente lo riteneva essere il giovane amante della moglie.

La drammaturgia si sviluppa in modo intenso e appassionato, senza cali di tensione o di ritmo, fondendo e miscelando tesi storiche, argomentazioni politico-religiose, l’antitesi mai svanita laicità-clericalismo; e lo fa inserendovi prepotentemente l’aspetto umano, fatto di sentimenti, di richiami della coscienza, di amicizia, di amore, nelle sue più diverse sfaccettature.  Il tutto, ben esaltato da quell’ironia raffinata e colta, che era una caratteristica costante nella scrittura di Gigi Magni.
 
Come sempre,  Antonello Avallone interpreta un Mons. Colombo da Priverno di grande spessore, reso intensamente umano e finemente ironico ed autoironico. Dà corpo ai dubbi che lo tormentano e intuisce chiaramente che le pagine della storia stanno girando!   Molto tenero, poi,  il modo in cui, tra un rimprovero e una battuta di spirito, cerca di creare un rapporto affettivo con il ribelle Cesarino, che invece gli morirà tra le braccia, in una scena intensa e profonda, resa ancora più drammatica dall’uso di una spettacolare luce caravaggesca, che incanta e suggestiona il pubblico. Inoltre,  Colombo intuisce la forza di un esercito oscuro, che però rappresenta il popolo e la sua volontà.  Accanto a lui Maurizio Ranieri dà vita egregiamente al personaggio di Serafino, il perpetuo, la cui comicità nasce proprio dal fatto di essere uno del popolo.  

Risultano sempre molto efficaci le gags fra i due, in particolare quella del pitale e quella dell’abbacchio a scottadito!  Il tutto, nell’esaltazione di quella verace romanità, che rispecchiava
pienamente il pensiero di  Gigi Magni,  il quale, dalla sua deliziosa terrazza al Babuino, considerava affettuosamente “fuori porta” tutti coloro che abitavano aldilà di Porta del Popolo!!!
Tutto il cast è di ottimo livello: tra gli altri interpreti, citiamo in primis  Pierre Bresolin,  impeccabile nel ruolo del cardinale gesuita, (il potentissimo “papa nero”), Maurizio V.Battista, convincente nel ruolo del Monsignore della Pubblica Accusa, Elettra Zeppi efficace nei panni della contessa Flaminia. Assai valido Cosimo Desii nel ruolo di Cesarino, così come Ariela La Stella (Teresa, la sua fidanzata), che si fa apprezzare anche per le sue doti canore.
E via via tutti gli altri, Lorenzo Lotti, Federico Girelli, Matteo Scattaretico, Luca Tarsia, Federico Nelli, Pamela Cavalieri e Sofia Pescatori. Insomma, un gruppo veramente valido e interessante artisticamente.

Come sempre, risultano assai suggestive le soluzioni sceniche ideate dalla brava e fantasiosa Red Bodò: l’uso di un velatino grande quanto tutto il palcoscenico consente di spaziare da un luogo all’altro, facendo rivivere allo spettatore le sensazioni tipiche del cinema.
In poche parole, abbiamo visto uno spettacolo che ha dato un sensibile e meritevole contributo alla cultura e alla storia della Città Eterna: Luigi Magni starà applaudendo da qualche parte lassù! 

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