IL THRILLER DI Ilaria Tuti "FIORI SOPRA L'INFERNO", UN DEBUTTO CHE LASCERA’ IL SEGNO

Conteso alla Fiera di Francoforte, il thriller diventerà presto una serie TV -

Intervista di Cristina Marra 03/03/2018
Letto e recensito
Fiori sopra l'nfernoREGGIO CALABRIA - Un thriller potente che rapisce, appassiona e affonda le radici narrative in un terreno duro e fragile, aspro e dolce come può esserlo quello montano e quello della psiche umana, è "Fiori sopra l'inferno"(Longanesi) di Ilaria Tuti, un caso letterario, conteso alla Fiera di Francoforte  che diventerà una serie tv con una coproduzione internazionale.

Fa freddo a Travenì, "le nubi minacciavano un'imminente nevicata" e un cristallo è rimasto "impigliato tra le ciglia del cadavere" e faceva freddo in Austria nel 1978, in un orfanatrofio dove il vento gelido, il Burian, "nato in steppe lontane, aveva percorso migliaia di chilometri fino a incunearsi nel canalone della valle" due realtà che si incontrano in un thriller ben scritto e originale. I luoghi primitivi e antichi si fanno protagonisti di una storia in cui gli ambienti familiari vengono sondati con gli occhi dei bambini e i cuori di chi cerca di proteggerli.

La calma apparente di Travenì è turbata dal sospetto che scende "sugli abitanti come la neve" che fa da sfondo e accoglie il corpo senza vita della prima vittima di un killer che presto si rivela seriale. La prima a intuire la ritualità è Teresa Battaglia,commissario di polizia e profiler , una donna che per caratteristiche e metodo rispecchia quella natura selvaggia e misteriosa in cui l'omicida lascia le sue vittime.

Tuti scrive un thriller che esplora come un escursionista luoghi e persone e accompagna il lettore lungo i sentieri tortuosi, bui e insidiosi di un territorio che si fa specchio della natura umana. Battaglia col giovane ispettore Marini e il resto della squadra diventano personaggi chiave nei diversi momenti dello svolgimento della trama che scorre e da un ruscello calmo si trasforma in un torrente a strapiombo.

Bravissima l'autrice che usa un dinamismo narrativo che colpisce e lascia senza fiato, sì perchè con Ilaria Tuti si corre davvero in mezzo al bosco o tra le montagne innevate.

"Fiori sopra l'inferno" è diventato un caso editoriale. Da dove nasce la tua passione per la criminologia e quando hai deciso di scriverlo?
Il mio interesse per la criminologia è nato da ragazzina, guardando il film Il silenzio degli innocenti. Quella storia mi impauriva e affascinava al tempo stesso. Scoprii che si ispirava a un romanzo di Thomas Harris, che ancora oggi è uno dei miei preferiti. Questa passione, però, ha sedimentato dentro di me ancora per molti anni, prima di venire in superficie. Lo ha fatto grazie ai romanzi di Donato Carrisi, che coniugano trama geniale a elementi psicologici da brividi. È grazie alle sue storie se ho deciso di scrivere un romanzo thriller. Volevo, nel mio piccolo, ricreare le suggestioni che lui aveva suscitato in me con la sua scrittura. Quando ho deciso di scriverlo? Due anni fa, quando ho trovato il personaggio giusto e ho sentito che mi sarei appassionata io per prima alla sua avventura.
 
Il thriller si sofferma molto sull'ambiente, Travenì, la montagna, la foresta sono descritte come fossero personaggi, sembra che descrivi come se illustrassi. Quanto la tua esperienza di illustratrice ti ha aiutata nella scrittura?
Ho sempre inventato storie nella mia mente. Le vedo scorrere come in un film, o come immagini di un dipinto. La pittura è stata la mia prima passione: è un modo, solo un po’ diverso e più enigmatico, per descrivere storie, personaggi e ambientazioni. Le tecniche della pittura in qualche modo mi hanno insegnato molto anche su come utilizzare le parole: è solo usando sia le ombre che le luci che ottieni la tridimensionalità dell’immagine che vuoi descrivere, e se vuoi fare risaltare i colori caldi, le ombre le devi ricavare da quelli freddi, ottenendo l’effetto drammatico che cattura l’osservatore. Non meno importante: quando l’occhio si sofferma su un colore primario, istintivamente cercherà poi il suo complementare. Se al posto della parola “colore” mettiamo “emozione”, il risultato non cambia.
 
La Foresta è il luogo-non luogo che attira l'attenzione di tutti gli altri personaggi, è un po’ simbolo o metafora della psiche umana con le sue zone oscure, le sue angosce ma anche i suoi spiragli di sole?
Non c’è simbolo più potente del mondo naturale. Con la sua bellezza primitiva e pericolosa parla in modo diretto al nostro inconscio. Solleva il velo che nasconde paure ataviche, ma dà anche la spinta per trovare dentro di noi energie impensate. È una metafora della psiche umana, del nostro animo sospeso tra il buio e la luce, ma è anche un monito a ricordare sempre che qui noi siamo solo ospiti. Per la mia storia, è un mezzo per far misurare i personaggi con i propri limiti, fisici e psicologici.
 
Teresa Battaglia è un personaggio forte che sa nascondere le sue fragilità, quando hai pensato a lei e a quel nome?
Teresa è un omaggio a tutte le donne che ogni giorno nel quotidiano combattono battaglie importanti che mettono a dura prova corpo e psiche, spesso da sole. È un modo per dire loro che sono straordinarie nella propria normalità. La vera forza sta nel sapersi rimettere in gioco dopo ogni battuta d’arresto, non nell’essere incrollabili. Teresa è nata quasi tre anni fa da un’immagine che mi ha colpito all’improvviso. Il suo nome è un simbolo, ma anche un piccolo omaggio a una donna, artista e professionista straordinaria: Letizia Battaglia, la più grande fotografa italiana.
 
Nel romanzo la parola scritta ricorre in particolari momenti, senza svelare nulla della trama, quanto i libri che leggiamo o quello che riportiamo sulla carta raccontano di noi?
Di recente mi è stato chiesto dove nascono le storie. Ho risposto: nascono nelle radici di ciò che siamo e fioriscono sui rami dei nostri sogni. Vale per la scrittura tanto quanto per la lettura. Le storie che scegliamo di leggere o scrivere parlano delle nostre origini e allo stesso tempo guardano ai nostri sogni, aspirazioni, progetti e visioni del futuro. È un arco teso che parte dalla concretezza della terra in cui siamo nati e arriva a luoghi ancora inesplorati, intimi o esteriori. Riflettono ciò che siamo e ciò che saremo, o vorremmo essere.
 
L'ispettore Marini, giovane, premuroso e professionale fa fatica a farsi accettare da Teresa, è un personaggio che cresce nel corso della narrazione, come nei romanzi di formazione. Può essere considerato l'alter ego di Teresa o il suo discendente?
Teresa per ora non lo considera (o almeno finge di non considerarlo): Massimo Marini non ha ancora superato l’esame per essere il suo alter ego, ma un giorno, forse, sarà il depositario del suo sapere, il suo successore. Teresa lo sta misurando per mezzo di battute caustiche e ordini secchi, lo mette alla prova. Ha intravisto in lui qualcosa che la fa ben sperare, nonostante l’entrata in scena piuttosto goffa del ragazzo.
 
Travenì è un luogo immaginario nel nome ma rispecchia un paese di montagna che teme le insidie che provengono dalla città e non dal suo interno. Il male nei piccoli centri viene occultato?
Viene occultato in qualsiasi gruppo umano che senta di avere uno status quo da dover preservare. Ammettere la presenza del male significa automaticamente dover rispondere a domande scomode e spesso dolorose: “Non lo hai visto arrivare? Non hai fatto nulla per fermarlo?” Significa, in sostanza, mettere in discussione la propria responsabilità.
 
Dalla casa vuota di Teresa a quella precaria e momentanea di Marini, alla Scuola, ai rifugi del killer, alle abitazioni dei sospettati e delle vittime, gli ambienti chiusi in cui vivono quanto raccontano dei personaggi?
Molto, sono “tane”, per restare sul simbolismo della natura. Nella tana si riflette il nostro modo di essere, ma soprattutto le nostre piccole e grandi debolezze. È un luogo in cui ci spogliamo finalmente di ogni sovrastruttura e ci mostriamo per ciò che siamo: possiamo fare in modo che sia perfetta, che dia un’immagine di noi che ci siamo costruiti addosso, ma ci saranno sempre piccoli dettagli che sveleranno la verità.Ilaria Tuti
 
Il romanzo si svolge su due piani temporali, da quale sei partita?
Da entrambi. Da quello del passato, per l’incipit. Da quello più recente, per la fine. Da quest’ultimo mi sono mossa a ritroso per ricostruire la storia.
 
Famiglia e rapporto genitori figli, affettività. Il male nasce dalla mancanza di amore?
Nasce da un abuso, da una violenza, da un abbandono – psicologico o fisico. Nasce dall’indifferenza. Cresce nelle situazioni che rubano l’infanzia a un bambino, la serenità e l’affettività a un adolescente.  Cresce nelle situazioni in cui l’empatia non si può sviluppare. Sono il dolore e la rabbia di un bambino a nutrire il male, e il male cresce con lui.
 
Che rapporto ha Teresa col dolore e con la morte?
Il dolore ormai è un compagno. Teresa lo accetta, lo affronta ogni giorno con coraggio, con stanchezza, con rabbia e allo stesso tempo con un amore tenero per se stessa, come fanno tante persone ogni giorno della propria vita. Alla morte non ci pensa, è altro a spaventarla: il decadimento mentale.
 
Teresa e la squadra che rapporto c'è con i suoi collaboratori? È come se i suoi uomini fossero parti, rami e lei il tronco?
È una bella immagine di Teresa e la sua squadra, che evidenzia il sostegno che lei sa essere per gli altri. Io li vedo anche come un branco. Teresa è la lupa alfa, sola al comando. Anziana, con il muso percorso da graffi e il pelo rovinato. Rimette a posto i più giovani con qualche ringhio, ma si prende cura di loro e li guida con l’esperienza in territori sconosciuti. Loro sono la sua ricchezza, la vita che continua. Teresa e il suo branco non hanno bisogno di molto per comunicare, si capiscono in modo profondo, istintivo, e si fidano reciprocamente. Sono, a modo loro, una famiglia.
 
La citazione memorabile:
«Mi chiamo Teresa Battaglia e vedo oltre i fiori che crescono sul terreno. Vedo l'inferno, che si spalanca sotto i nostri piedi».
 
ILARIA TUTI
I FIORI SOPRA L’INFERNO
Longanesi
Euro 14,50

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