INCONTRO CON MARCO SCHIAVON, AUTORE DE “IL COLORE DELLA FORMA”
IL DRAMMA HA VINTO IL PREMIO NAZIONALE CENDIC SEGESTA PER IL TEATRO CONTEMPORANEO
BIANCA SALVI
23/10/2024
ANTEPRIMA TEATRO

Una tradizione vetusta e scontata porta spesso i direttori artistici a prediligere classici che attirino le scolaresche, o autori stranieri per esterofilia. Fortunatamente esistono realtà come il Cendic: Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea, che da anni si batte per promuovere e far emergere tanti autori nuovi che difficilmente avrebbero voce, promuovendo iniziative come il premio “Cendic Segesta”, che garantisce la messa in scena del testo vincitore, anche grazie alla collaborazione fattiva e al supporto del Centro Teatrale Meridionale di Domenico Pantano, e del Nuovo Imaie.
Abbiamo incontrato il vincitore designato nell’anno 2018, un giovane autore trevigiano, premiato per “Il colore della forma”, un atto unico tutt’ora in scena a Roma, presso il Teatro Marconi. Un testo originale e profondo che attraverso le vicende del protagonista, il pittore Gino Rossi, amico di Modigliani e Casorati, si interroga sul legame fra “arte e follia”. Lo abbiamo incontrato in occasione della prima messa in scena.
D- Come è nata l’idea di scrivere questo testo teatrale ?
R - “Il colore della forma” nasce dalla fascinazione per il personaggio di Gino Rossi, un uomo che incarna le contraddizioni e le vicissitudini a cavallo di due secoli, e dal desiderio di indagare e raccontare il lavorio interno alla mente di questo pittore.
Questa indagine evoca il rapporto tra arte e follia , che diventa un dilemma esistenziale ineludibile per questo artista che ha vissuto gran parte della sua vita in manicomio. Gli ultimi schizzi realizzati durante la reclusione, rappresentano dei disperati tentativi di una mente umana nella difficoltà di trovare un senso nella realtà delle cose. Molte intuizioni presenti nei collage di Gino Rossi, sembrano anticipare Matisse di alcuni anni.
Altre sue affermazioni sull’arte sono sensate e profonde ma non riescono ad essere formulate in un contesto coerente e coeso.
Alla fine restano domande in attesa di risposta:
La ricerca artistica si è spinta troppo oltre o la mente alterata non riesce più a mettere assieme i pezzi del mondo?
L’arte è l’unico modo per sopravvivere nell’ambiente opprimente del manicomio o è stata la causa della sua rovina?
D – In che modo ti sei documentato su questo personaggio ?
R - La mia ricerca è incominciata involontariamente molti anni fa grazie al contatto diretto con uno dei personaggi del dramma: Renato De Giorgis, noto pittore trevigiano che ebbi la fortuna di conoscere quando ero ancora bambino; fu lui che mi fece vedere degli schizzi che Gino Rossi aveva abbozzato sulla pagina di un vecchio giornale. Rimasi subito affascinato dalla figura di quest’artista mite e sensibile, apprezzato da tutti ma isolato dal mondo, la cui figura aleggiava tra i racconti degli adulti.
Dopo molti anni, lessi i “Colloqui con Gino Rossi” scritto da Giacomo Mazzotti. In questo resoconto degli incontri tra l’artista recluso e alcuni intellettuali dell’epoca, salta subito all’occhio la lucidità con cui parlava e ragionava una persona ritenuta squilibrata.
Da questa constatazione nacque la mia esigenza il far rivivere il personaggio di Gino Rossi attraverso il Teatro, per cercare di rendere giustizia a questo artista permettendogli di tornare in vita tra le tavole del palcoscenico.
Il ricorso alle fonti storiche è stato necessario per inquadrare il periodo storico e mettere a fuoco alcuni personaggi che ruotano attorno alla figura Gino Rossi come Comisso, Martini e Casorati.
I dialoghi del “Colore della forma” traggono spunto da testimonianze da conversazioni realmente avvenute, lettere e documenti dell’epoca. A questo proposito è stato prezioso l’articolo dello storico Luigi Urettini :“L’ultima battaglia di Gino Rossi”.
D – Come drammaturgo, hai avuto miti di riferimento ?
R - Il Teatro è un’unica grande creatura che non può prescindere dai propri mostri sacri che lo rendono ciò che è dall’Edipo di Sofocle all’Amleto di Shakespeare, da Goldoni a Brecht.
Adoro Aristofane e il Teatro dell’assurdo di Jarry, Beckett e Ionesco. Pirandello ed Edoardo De Filippo occupano un posto particolare nei miei affetti assieme a Durrenmatt e Bernhard.
Mi piace molto anche il Teatro del Lemming e le loro discese nelle profondità dell’Io.
D – Si dice che in Italia non ci siano attualmente molti scrittori che si dedicano alla drammaturgia. Sarà per questo che spesso i cartelloni teatrali privilegiano autori stranieri ?
R - Non penso che in Italia ci sia una carenza di autori teatrali. Se guardiamo al passato due dei nostri premi Nobel Pirandello e Dario Fo sono autori teatrali a tutto tondo. Basti poi pensare ad Antonio Tarantino che per è un autore incredibile. Se poi guardiamo gli autori recenti mi sembra che i nomi non manchino Massini, Paravidino, Aldrovandi, Longoni, Compatangelo, solo per citarne alcuni. Quello che manca è l’abitudine di molte stagioni teatrali di mettere in scena testi di autori contemporanei con un po’ di coraggio …ma non ne serve neanche troppo.
Spesso si tende scegliere degli spettacoli che siano un buon “prodotto” e per esso si intende qualcosa che possa non infastidire troppo il pubblico e farlo svagare per un po’.
Il pubblico non lo sa ma va a Teatro per essere sconvolto e affascinato …forse per trovare una forma di catarsi moderna.
Il Teatro deve essere una piazza in cui ci si scontra con i propri dilemmi pubblici e privati. Se il Teatro non è questo abbiamo perso una parte importante della vita democratica di un paese.
D – E’ utile per un autore lavorare a stretto contatto con gli attori?
R - Può essere utilissimo, dipende dal percorso di lavoro che si è scelto. Si può scrivere ogni parola pensandola con il colore della voce di un interprete specifico e come un sarto tagliare e cucire le battute finché l’attore vi si sente a suo agio come un vestito su misura.
Oppure far nascere un testo drammaturgico e poi lasciarlo andare con le proprie gambe, come si fa con un bambino che impara a camminare o un figlio che se ne va libero per il mondo … lasciare cioè uno spazio tra sé e chi dovrà rappresentarlo: dare all’attore la libertà di farlo suo ed al regista la facoltà di reinventarlo.
E’ affascinante vedere le proprie parole rifiorire in modo diverso nel respiro degli attori e scoprire le diverse sfaccettature che il proprio lavoro può assumere.
D – Il linguaggio teatrale e quello drammaturgico sono diversi. C’è chi afferma che un testo teatrale non andrebbe letto, ma visto esclusivamente rappresentato. Sei d’accordo ?
R - Certo, è vietato leggere un testo teatrale ed è proprio per questo che si devono leggere più testi teatrali possibili!
Il testo di teatro, se vogliamo, è una via di mezzo tra una partitura musicale è un manuale per le istruzioni, è un’opera incompleta che ha bisogno di uno sforzo sociale, dell’impegno di altre persone per esistere giusto il tempo di una rappresentazione.
Detto questo non si può fare a meno di leggere i testi teatrali, non c’è il tempo di andare a teatro tutte le sere in giro per il mondo, perciò, si è costretti a leggere testi drammaturgici a bizzeffe anche per conoscere autori che a volte scompaiono dalle scene per decenni.
D – C’è un proliferare di corsi di scrittura creativa, narrativa, drammaturgica. Trovi che siano utili ?
R - Io personalmente non ne ho mai frequentato uno ma penso possano essere utili. Tutto può servire: l’aver calcato un palcoscenico, essere stato spettatore, l’aver vissuto, il sapere accettare le critiche e i consigli, capire cosa arriva al pubblico ed il saper buttare via quello che non funziona.
La scrittura teatrale è una scrittura sporca, piena di commistioni e compromessi, deve rotolarsi nel fango con gli ubriaconi e incipriare i vezzi delle principesse, imbarazzare i diavoli e deliziare i cherubini.
D – Ti aspettavi di poter ricevere un premio prestigioso, già per la tua opera prima ?
R - No, non me lo aspettavo. Quando Maria Letizia Compatangelo, Presidente del Cendic, me lo ha comunicato è stata una gioia immensa, perché è uno dei concorsi italiani più importanti e uno dei pochi che mette veramente in scena il testo vincitore, con una produzione di qualità. Un testo di Teatro, se non riesce a prendere vita su di un palcoscenico, è incompleto, vive in una sorta di limbo. Ringrazio infinitamente il CENDIC, l’IIMAIE, gli attori, il regista, il compositore delle musiche scena, la costumista, lo scenografo, il tecnico delle luci per aver liberato “Il colore della forma” da questa prigionia e avergli dato vita!
IL COLORE DELLA FORMA
Di Marco Schiavon
Regia di Nicasio Anzelmo
Con
Mario Scaletta
Marco Prosperini
Anna Lisa Amodio
Amedeo D’Amico
Maria Cristina Fioretti
Mario Focardi
Luchino Giordana
Giorgia Guerra
Roberto Turchetta
Al TEATRO MARCONI
Via Guglielmo Marconi 698 / E
www.teatromarconi.it
info e prenotazioni 06/594354
info@teatromarconi.it
Di Marco Schiavon
Regia di Nicasio Anzelmo
Con
Mario Scaletta
Marco Prosperini
Anna Lisa Amodio
Amedeo D’Amico
Maria Cristina Fioretti
Mario Focardi
Luchino Giordana
Giorgia Guerra
Roberto Turchetta
Al TEATRO MARCONI
Via Guglielmo Marconi 698 / E
www.teatromarconi.it
info e prenotazioni 06/594354
info@teatromarconi.it