"IL FRATELLO UNICO", UN GIALLO CLASSICO L’ULTIMO LIBRO DI ALBERTO GARLINI
L’Autore parmense questa volta gioca tra analisi e logica deduttiva coinvolgendo il lettore in una vicenda avvincente
Intervista di Cristina Marra
26/02/2018
Letto e recensito
REGGIO CALABRIA - "Scrivo queste pagine per raccontare le indagini di un detective straordinario" ,esordisce così Margherita Pratts, io narrante di "Fratello unico"( Mondadori) di Alberto Garlini, un romanzo che affonda le radici della detective story classica per raccontare una vicenda di scomparse e delitti ambientata nel 2014 nella Bassa Parmigiana.
Margherita, ventiseienne già ammaccata da delusioni sentimentali e professionali, diventa l'assistente e l'aiutante di Saul Lovisoni, ex poliziotto che ha" risolto alcuni casi mirabolanti , aveva scritto un romanzo giallo da un milione di copie" per poi rinchiudersi in un silenzio che durava cinque anni e dedicarsi all'investigazione privata.
La giovane detective racconta lo svolgersi dell'indagine affidata a Saul da Cosima Allandi di Porporano, nobildonna affranta dalla scomparsa del fratello Bernardo giusto durante le trattative per una speculazione edilizia, affare a cui la famiglia teneva parecchio. Un po’ Watson e un po’ Archie Goodwin, Margherita osserva, racconta e critica le gesta investigative di Saul che rivela una innata e rara capacità di leggere le persone e le loro storie. La storia di Saul, uomo di successo, colto ma tormentato da un passato che si ripercuote sulle sue scelte del presente, si intreccia con quella di Bernardo e Garlini gestisce magistralmente la trama narrativa con questa doppia indagine che sfida il lettore e lo fa diventare a sua volta lettore di persone e di animi umani.
Il romanzo si rifà al giallo classico basato sulla logica e sul gioco d'intelligenza tra autore e lettore. Perché hai scelto il giallo?
Fin da bambino sono stato un appassionato lettore di gialli, cresciuto divorando Ellery Queen e Nero Wolfe. Mi piaceva il gioco d’intelligenza che si creava col lettore, la possibilità di essere messo nelle stesse condizione del detective e quindi di poter giungere prima di lui alla soluzione. Era bello, e anche confortante, per un bambino, credere che la forza del ragionamento logico del detective potesse risolvere anche casi che toccavano il torbido dell’animo umano. Penso che il successo mondiale di Sherlock Holmes derivi proprio da questo: Holmes riesce a ridurre alla ragione anche le paure più profonde. In seguito, crescendo, ho conosciuto anche le altre forme del giallo, per esempio il noir, dove la soluzione è sempre più grigia e si porta a casa di meno.
Ma il mio amore è sempre rimasto per il giallo classico anglosassone, con una deviazione sostanziosa in Francia, con Simenon e Maigret. Il problema per molto tempo, è che non mi sono mai reputato capace di scriverne uno, e molto umilmente sei anni fa ho cominciato a provarci. Ne ho buttati via tre, e questo è il primo che mi sembra di meritare di essere pubblicato. È proprio il giallo che volevo scrivere, e mi sono divertito tantissimo. Avevo bisogno di tornare anche mentalmente a quella prima fascinazione per la lettura, a quel puro divertimento. Avevo bisogno di recuperarlo.
Saul Lovisoni è un ex poliziotto e scrittore. Vive attorniato da libri da catalogare, legge i libri ma sa leggere anche le storie delle persone?
Saul Lovisoni risolve i casi comprendendo le storie che ognuno di noi si racconta. Ma queste storie non sono libere. Io credo che l’arte di raccontare storie sia un bisogno antropologico dell’uomo. Noi, in quanto esseri umani, siamo animali che raccontano storie. Le storie, da quando l’uomo esiste, sono scritte secondo certe regole o secondo certi canovacci. Ciascuno di noi si può raccontare una storia personale di riscatto, o di vendetta, o di realizzazione, o di fallimento, o d’amore. se una persona inserisce se stesso in uno di questi casi, o nei tanti altri casi possibili, rispetterà anche le regole di genere. Si comporterà come un personaggio nella sua storia individuale. Siamo immersi nelle storie dalla mattina alla sera.
Questa immersione non è innocua. Ci influenza anche nei comportamenti quotidiani. Nelle scelte politiche (scegliamo lo storytelling che ci è più vicino), nell’acquisto di beni di consumo (che rispettano una immagine di noi). Saul capisce queste storie individuali, e le inserisce nel contesto dei meccanismi narrativi che la storia umana ci ha consegnato. È geniale, e molto divertente.
Margherita è la sua aiutante, è la sua Watson che narra la vicenda ma anche la sua spalla nelle indagini sul campo?
Margherita è il cuore di Saul, è la donna che gli permette ancora di vivere. Saul è rimasto traumatizzato dalla morte della donna che amava Esther, e si è ritirato da anni perché non vuole vivere, ma non vuole nemmeno morire, è un cuore un inverno, ed è proprio Margherita con la sua vitalità a farlo scongelare. Margherita è vitale, incazzosa, curiosa, intelligente e straniata. L’ho vista dal vero, in un atogrill dell’autostrada del sole, mentre pensavo alla storia del Fratello unico (penso sempre in macchina mentre guido le idee vengono meglio anche se rischio la pelle), avevo chiara la figura di Saul, ma mancava qualcosa e allora ho visto questa ragazza, molto bella, con un paio di piercing che leggeva come se nulla fosse Emma di Jane Austen in un autogrill. È difficile in generale vedere persone che leggono, ma in un autogrill è quasi impossibile, e lei leggeva come se fosse rapita, come se non ci fosse altro, come io avrei voluto veder leggere un mio libro.
La famiglia e gli affetti sono al centro dell'indagine?
Più che altro le narrazioni famigliari, che come è noto mostrano una faccia ma ne nascondo un’altra. La famiglia in questo momento è un luogo vicino di patteggiamento delle storie. Tu puoi raccontare anche la più bella storia di te, e trovi sicuramente su Fb decine di persone che ci credono, ma molto difficilmente puoi ingannare la tua famiglia. È quindi un principio di realtà molto forte, che genera molto facilmente lo scontro. Anche perché spesso è proprio nella famiglia che le narrazioni individuali si incrostano, il bambino per la madre resta sempre il bambino, per esempio, anche quando cresce; queste incrostazioni a volte possono costringere a gesti plateali perché i cambiamenti vengano accettati. La famiglia è quindi un luogo dove, molto più del social netowork, le tensioni vengono a evidenza, e se c’è tensione e conflitto c’è romanzo.
Perchè hai scelto l'ambientazione delle pianure parmensi?
Sono nato a Parma e ho cominciato ad amare quella città e la sua provincia fin da bambino. Credo che ci si senta veri solo in una piccola porzione di terra, e la terra dove io sono vero è la discesa che porta dal parco Nevicati fino alle scuole di Collecchio. I cortili di via Combattenti. I pomeriggi estivi immobili al campo sportivo. Cosa resta di noi, se non questa sensazione di essere adeguati e nello stesso tempo a disagio, in un luogo che ti ha formato la memoria?
Parma poi a parte essere un luogo dell’affezione persona, è anche una città piena di storie tragiche, spietate e sognanti. Sembra che la pianura a differenza della montagna non possa nascondere nulla. È tutto piatto, non ci sono caverne o ostacoli verticali. Ma non è vero, la pianura, nella sua metafisica, è il luogo dove l’orizzonte si perde in lontananza, dove non c’è mai qualcosa di vicino. È tutto visibile ma è tutto lontano. E poi nella pianura c’è la nebbia. La nebbia che quando ero bambino, negli anni Settanta, si piantava sulla città come una cappa indelebile. Dove quando si guidava si faceva come i ciclisti, uno tirava e gli altri seguivano, e poi ci si dava il cambio. Questo romanzo mantiene un po’ dell’amore che provo per questa terra, e cerca di raccontarla con la chiave del mistero.
Saul e Margherita sono due personaggi che si completano a vicenda, sono anche due punti di vista e due modi e metodi di approcciare l'indagine?
Be’ sì come ho detto prima Saul legge la narrativa della realtà, Margherita ne sente il cuore.
Tutti i personaggi agiscono o regiscono per amore?
Più che altro penso che seguano la storia che si raccontano. Molto spesso le storie che ci raccontiamo sono di amore, spesso fittizio, cioè pensiamo di amare e invece che ne so abbiamo degli interessi, o perfino odiamo. L’amore forse è imprendibile come concetto, Saul segue la narrativa dell’amore, che invece è un po’ più semplice e effettiva.
Quando hai scritto il romanzo pensavi a una serialità?
Il personaggio mi è venuto con tre storie, e poi ho deciso di raccontare quella del fratello unico, ma ne ho altre due in testa e una la ho già scritta e dalle ultime informazioni dovrebbe uscire questo settembre.
Lettore, scrittore, docente di scrittura. Chi sono i tuoi autori di riferimento?
Sono troppi per elencarli tutti, ci sono centinaia di autori ottimi che mi hanno affascinato e influenzato. La letteratura è un mondo grande, dove esistono voci molto diverse e a me, se sono perseguite con onestà, piacciono tutte, sono poco snob, non penso che la letteratura sia una mia particolare idiosincrazia, normativa in un certo senso, che tutti devono seguire, perché appunto piace a me. Quindi non ho particolari autori di riferimento.
La citazione memorabile
"Se possiedo un talento, è quello di capire le persone, o meglio, di capire le storie che raccontano..."
Alberto Garlini
Il Fratello Unico (Mondadori)
euro 15,30
Margherita, ventiseienne già ammaccata da delusioni sentimentali e professionali, diventa l'assistente e l'aiutante di Saul Lovisoni, ex poliziotto che ha" risolto alcuni casi mirabolanti , aveva scritto un romanzo giallo da un milione di copie" per poi rinchiudersi in un silenzio che durava cinque anni e dedicarsi all'investigazione privata.
La giovane detective racconta lo svolgersi dell'indagine affidata a Saul da Cosima Allandi di Porporano, nobildonna affranta dalla scomparsa del fratello Bernardo giusto durante le trattative per una speculazione edilizia, affare a cui la famiglia teneva parecchio. Un po’ Watson e un po’ Archie Goodwin, Margherita osserva, racconta e critica le gesta investigative di Saul che rivela una innata e rara capacità di leggere le persone e le loro storie. La storia di Saul, uomo di successo, colto ma tormentato da un passato che si ripercuote sulle sue scelte del presente, si intreccia con quella di Bernardo e Garlini gestisce magistralmente la trama narrativa con questa doppia indagine che sfida il lettore e lo fa diventare a sua volta lettore di persone e di animi umani.
Il romanzo si rifà al giallo classico basato sulla logica e sul gioco d'intelligenza tra autore e lettore. Perché hai scelto il giallo?
Fin da bambino sono stato un appassionato lettore di gialli, cresciuto divorando Ellery Queen e Nero Wolfe. Mi piaceva il gioco d’intelligenza che si creava col lettore, la possibilità di essere messo nelle stesse condizione del detective e quindi di poter giungere prima di lui alla soluzione. Era bello, e anche confortante, per un bambino, credere che la forza del ragionamento logico del detective potesse risolvere anche casi che toccavano il torbido dell’animo umano. Penso che il successo mondiale di Sherlock Holmes derivi proprio da questo: Holmes riesce a ridurre alla ragione anche le paure più profonde. In seguito, crescendo, ho conosciuto anche le altre forme del giallo, per esempio il noir, dove la soluzione è sempre più grigia e si porta a casa di meno.
Ma il mio amore è sempre rimasto per il giallo classico anglosassone, con una deviazione sostanziosa in Francia, con Simenon e Maigret. Il problema per molto tempo, è che non mi sono mai reputato capace di scriverne uno, e molto umilmente sei anni fa ho cominciato a provarci. Ne ho buttati via tre, e questo è il primo che mi sembra di meritare di essere pubblicato. È proprio il giallo che volevo scrivere, e mi sono divertito tantissimo. Avevo bisogno di tornare anche mentalmente a quella prima fascinazione per la lettura, a quel puro divertimento. Avevo bisogno di recuperarlo.
Saul Lovisoni è un ex poliziotto e scrittore. Vive attorniato da libri da catalogare, legge i libri ma sa leggere anche le storie delle persone?
Saul Lovisoni risolve i casi comprendendo le storie che ognuno di noi si racconta. Ma queste storie non sono libere. Io credo che l’arte di raccontare storie sia un bisogno antropologico dell’uomo. Noi, in quanto esseri umani, siamo animali che raccontano storie. Le storie, da quando l’uomo esiste, sono scritte secondo certe regole o secondo certi canovacci. Ciascuno di noi si può raccontare una storia personale di riscatto, o di vendetta, o di realizzazione, o di fallimento, o d’amore. se una persona inserisce se stesso in uno di questi casi, o nei tanti altri casi possibili, rispetterà anche le regole di genere. Si comporterà come un personaggio nella sua storia individuale. Siamo immersi nelle storie dalla mattina alla sera.
Questa immersione non è innocua. Ci influenza anche nei comportamenti quotidiani. Nelle scelte politiche (scegliamo lo storytelling che ci è più vicino), nell’acquisto di beni di consumo (che rispettano una immagine di noi). Saul capisce queste storie individuali, e le inserisce nel contesto dei meccanismi narrativi che la storia umana ci ha consegnato. È geniale, e molto divertente.
Margherita è la sua aiutante, è la sua Watson che narra la vicenda ma anche la sua spalla nelle indagini sul campo?
Margherita è il cuore di Saul, è la donna che gli permette ancora di vivere. Saul è rimasto traumatizzato dalla morte della donna che amava Esther, e si è ritirato da anni perché non vuole vivere, ma non vuole nemmeno morire, è un cuore un inverno, ed è proprio Margherita con la sua vitalità a farlo scongelare. Margherita è vitale, incazzosa, curiosa, intelligente e straniata. L’ho vista dal vero, in un atogrill dell’autostrada del sole, mentre pensavo alla storia del Fratello unico (penso sempre in macchina mentre guido le idee vengono meglio anche se rischio la pelle), avevo chiara la figura di Saul, ma mancava qualcosa e allora ho visto questa ragazza, molto bella, con un paio di piercing che leggeva come se nulla fosse Emma di Jane Austen in un autogrill. È difficile in generale vedere persone che leggono, ma in un autogrill è quasi impossibile, e lei leggeva come se fosse rapita, come se non ci fosse altro, come io avrei voluto veder leggere un mio libro.
La famiglia e gli affetti sono al centro dell'indagine?
Più che altro le narrazioni famigliari, che come è noto mostrano una faccia ma ne nascondo un’altra. La famiglia in questo momento è un luogo vicino di patteggiamento delle storie. Tu puoi raccontare anche la più bella storia di te, e trovi sicuramente su Fb decine di persone che ci credono, ma molto difficilmente puoi ingannare la tua famiglia. È quindi un principio di realtà molto forte, che genera molto facilmente lo scontro. Anche perché spesso è proprio nella famiglia che le narrazioni individuali si incrostano, il bambino per la madre resta sempre il bambino, per esempio, anche quando cresce; queste incrostazioni a volte possono costringere a gesti plateali perché i cambiamenti vengano accettati. La famiglia è quindi un luogo dove, molto più del social netowork, le tensioni vengono a evidenza, e se c’è tensione e conflitto c’è romanzo.
Perchè hai scelto l'ambientazione delle pianure parmensi?
Sono nato a Parma e ho cominciato ad amare quella città e la sua provincia fin da bambino. Credo che ci si senta veri solo in una piccola porzione di terra, e la terra dove io sono vero è la discesa che porta dal parco Nevicati fino alle scuole di Collecchio. I cortili di via Combattenti. I pomeriggi estivi immobili al campo sportivo. Cosa resta di noi, se non questa sensazione di essere adeguati e nello stesso tempo a disagio, in un luogo che ti ha formato la memoria?
Parma poi a parte essere un luogo dell’affezione persona, è anche una città piena di storie tragiche, spietate e sognanti. Sembra che la pianura a differenza della montagna non possa nascondere nulla. È tutto piatto, non ci sono caverne o ostacoli verticali. Ma non è vero, la pianura, nella sua metafisica, è il luogo dove l’orizzonte si perde in lontananza, dove non c’è mai qualcosa di vicino. È tutto visibile ma è tutto lontano. E poi nella pianura c’è la nebbia. La nebbia che quando ero bambino, negli anni Settanta, si piantava sulla città come una cappa indelebile. Dove quando si guidava si faceva come i ciclisti, uno tirava e gli altri seguivano, e poi ci si dava il cambio. Questo romanzo mantiene un po’ dell’amore che provo per questa terra, e cerca di raccontarla con la chiave del mistero.
Saul e Margherita sono due personaggi che si completano a vicenda, sono anche due punti di vista e due modi e metodi di approcciare l'indagine?
Be’ sì come ho detto prima Saul legge la narrativa della realtà, Margherita ne sente il cuore.
Tutti i personaggi agiscono o regiscono per amore?
Più che altro penso che seguano la storia che si raccontano. Molto spesso le storie che ci raccontiamo sono di amore, spesso fittizio, cioè pensiamo di amare e invece che ne so abbiamo degli interessi, o perfino odiamo. L’amore forse è imprendibile come concetto, Saul segue la narrativa dell’amore, che invece è un po’ più semplice e effettiva.
Quando hai scritto il romanzo pensavi a una serialità?
Il personaggio mi è venuto con tre storie, e poi ho deciso di raccontare quella del fratello unico, ma ne ho altre due in testa e una la ho già scritta e dalle ultime informazioni dovrebbe uscire questo settembre.
Lettore, scrittore, docente di scrittura. Chi sono i tuoi autori di riferimento?
Sono troppi per elencarli tutti, ci sono centinaia di autori ottimi che mi hanno affascinato e influenzato. La letteratura è un mondo grande, dove esistono voci molto diverse e a me, se sono perseguite con onestà, piacciono tutte, sono poco snob, non penso che la letteratura sia una mia particolare idiosincrazia, normativa in un certo senso, che tutti devono seguire, perché appunto piace a me. Quindi non ho particolari autori di riferimento.
La citazione memorabile
"Se possiedo un talento, è quello di capire le persone, o meglio, di capire le storie che raccontano..."
Alberto Garlini
Il Fratello Unico (Mondadori)
euro 15,30
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