CHI RUBÒ IL TESORO DEL BANCO DI NAPOLI?

5) LA MACCHINA DEL FANGO GIÀ A QUEI TEMPI LAVORAVA A PIENO REGIME

di Filippo Russo 08/05/2018
Storia Segreta d'Italia
tesoro banco di napolilRoma. Quando all’imbrunire del 19 di agosto del 1860 Garibaldi sbarcò in Calabria fece una scelta apparentemente folle: l’esercito napoletano aveva sgomberato la Sicilia, ma contava ancora quasi cento mila uomini.

Però oramai molti funzionari, ufficiali e ministri del Regno di Napoli s’erano convinti che avrebbero mantenuto gli stipendi, le proprietà, i privilegi meglio servendo i nuovi padroni che difendendo i diritti di un giovane re, inesperto, ma onestissimo.

Il capo della spietata polizia borbonica, dopo essere stato nominato da Francesco II ministro degli Interni, si mise subito agli ordini di Garibaldi, ma anche di Cavour, e venne a patti con la Camorra, per spingere il popolino ed il popolaccio dei fetidi quartieri poveri di Napoli a simpatizzare coi Piemontesi.

Appena 10 giorni dopo lo sbarco di Garibaldi il re partenopeo, intuendo l’imminenza di una sommossa, e non volendo dare ordine di sparare sul popolo o temendo che tale ordine potesse non essere eseguito, decise di ritirarsi al di là del Volturno, nell’estremo nord del Regno con tutto il suo ancor poderoso esercito. Egli, onestissimo, come s’è detto, non portò con sé le innumerevoli opere d’arte delle sue regge, né il tesoro del Banco di Napoli.

Ma quando, un paio di mesi dopo, Vittorio Emanuele II procedette all’annessione del Regno delle Due Sicilie, quel tesoro era scomparso. I malevoli Cavour e La Farina accusarono Il Dittatore Garibaldi, una calunnia evidente, quell’eroe si lavava e rammendava le camicie e i pantaloni da solo, s’era costruito le case di campagna e curava la terra con le proprie mani.

Ma se non lui, chi? Il romanziere Ippolito Nievo, che presiedeva alle attività di contabilità ed amministrative dell’armata garibaldina con adamantina correttezza, volle fare un’inchiesta, raccolse le prove cartacee che avrebbero permesso di individuare i responsabili dell’immane ammanco, le portò con sé su un bastimento diretto a Genova, ma quel bastimento fu fatto affondare, un’orrenda strage per inabissare le prove di un fantasmagorico furto.

Chi? Si possono fare solo delle ipotesi, ma riguardanti un ambito assai ristretto di personalità di vertice; i più sospetti: Liborio Romano e Francesco Crispi, già accusato dai Palermitani di malversazioni…

Quindi mentre l’ingenuo re Francesco ed il “puro” Garibaldi si combattevano inutilmente, avendo il re partenopeo accettato la prospettiva dell’unità (federale) d’Italia, qualcun altro, in segreto, tramava orridi misfatti.

Un brutto inizio per l’unità d’Italia!

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