ANTONIO TALIA RACCONTA “MILANO SOTTO MILANO” A CRISTINA MARRA
LO SCRITTORE CI CONDUCE NELLE STRADE INVISIBILI DELLA CAPITALE LOMBARDA CHE CELANO TRAFFICI E MOVIMENTI ILLEGALI E CHE GESTISCONO CIFRE ENORMI DI DENARO.
di Cristina Marra
17/11/2021
Le interviste di Cristina

Antonio Talia giornalista d’inchiesta e di Affari esteri, corrispondente da Pechino dal 2007 al 2013 vive a Milano e collabora con testate italiane (Il foglio, Vanity Fair) e straniere (Morning Post, South China), è coautore di programmi di attualità estera su Radio 24 e con Milano sotto Milano offre uno spaccato della città negli anni Dieci del Duemila, un periodo poco indagato e raccontato. Talia riporta fatti, cifre, incontra persone e ne assorbe informazioni e sensazioni e il suo sguardo attento e pungente, non teme di essere anche delicato nel raccontare la criminalità e le sue vittime.
Antonio, Milano sotto Milano è il romanzo di un ritorno, il tuo in Italia dopo sette anni in Cina, è gennaio 2013 e vivi a Milano e fai il cronista di nera. Com'è stato il tuo impatto con la città?
L'impatto è stato singolare, ho vissuto una specie di scissione della percezione, perché da un lato conoscevo Milano, ci avevo vissuto per molti anni prima della Cina, e dall'altro gli anni in cui ero stato via, il periodo tra la metà degli anni Zero e la metà degli anni Dieci, era stato un periodo cruciale, in cui Milano era cambiata moltissimo. Mi sembrava di osservare l'Italia e Milano con uno sguardo mezzo straniero e mezzo italiano.
Racconti la Milano degli anni Dieci e lo fai scegliendo di percorrere le sue strade legate ognuna a un fatto di cronaca. Inizi con un omicidio che apre infinite piste e a una Milano dalle inaspettate corrispondenze, come hai scelto le storie e perchè parti da un omicidio?

Sono partito dall'omicidio di Nicoletta Figini perché mi pareva un caso che riassume in sé tutta l'essenza della Milano di quegli anni: è una storia di doppie e triple vite (una condizione che ricorre spesso in diversi altri casi, pensiamo alla cosiddetta "Coppia dell'Acido" o ad Alberto Genovese); è una storia che lega il mondo della tossicodipendenza a quello dell'economia; è una storia di incontri sessuali occasionali; è una storia di solitudini, e infine è una storia che suggerisce traffici criminali di notevole valore economico.
Il caso è rimasto insoluto, e non ha avuto un grande spazio sui media, il che mi ha spinto a interrogarmi sulla natura profonda del mestiere del cronista di nera: perché alcune storie fanno presa sull'immaginazione del pubblico e altre vengono dimenticate? La mia risposta è che certi casi sono troppo disturbanti, e il caso Figini è disturbante perché suggerisce che ognuno di noi si trova solo a pochi passi dallo sprofondare in un meccanismo criminale. Da qui in poi, ho scelto tutti gli altri casi seguendo alcuni criteri: dovevano essere casi degli anni Dieci, dovevano essere legati tra loro da un filo economico capace di mostrare il tessuto economico/criminale della città, e dovevano essere capaci di abbracciare porzioni sempre più ampie della città, di attraversare ambienti diversi.
Il filo rosso del tuo precedente libro La statale 106 era caratterizzato dalle stazioni qui ci sono le somme di denaro. Si parte da 750 euro per arrivare a cifre incredibili. Con quale criterio hai selezionato le dieci storie?
Anche sulle cifre, volevo una progressione continua, volevo partire da una somma bassa per arrivare a miliardi di euro e catturare il lettore, costringerlo a sedersi con me a un tavolo nel quale la posta in gioco aumenta di continuo. E allo stesso tempo, volevo abbracciare ambienti sempre diversi, apparentemente lontani, mostrando quanto siano collegati sottopelle.
Durante il lockdown e con la pandemia come sono cambiati gli equilibri della criminalità?
I dati sono preoccupanti: un sondaggio di Confcommercio condotto su un campione di circa 1000 commercianti a Milano, Monza e Lodi dimostra che dopo il primo coprifuoco la percentuale che ha ricevuto proposte di prestiti a usura o di acquisto del locale a prezzi inferiori a quelli di mercato è raddoppiata, dal 9% al 19% con punte del 22% se si tratta di bar e ristoranti. Sono capitali sporchi, e la criminalità organizzata sta approfittando - o forse dovremmo dire che ha già approfittato - della pandemia.
Racconti il sotto di Milano il suo lato nascosto e oscuro con la penna del giornalista ma anche un pò dello scrittore di storie noir?
Penso che la fiction e la nonfiction debbano essere tenute ben separate, gli strumenti del giornalismo non sono gli stessi del romanzo. Però si possono usare gli stilemi di una certa letteratura noir per raccontare al meglio fatti realmente accaduti, altrimenti libri come il mio rischiano di diventare solo una fredda compilazione di fatti, nomi e date. Ci sono moltissimi modelli a cui ispirarsi: all'estero penso soprattutto a Gay Talese, il padre del "New Journalism"; da noi, per rimanere a libri recentissimi, c'è il meraviglioso "La Città dei Vivi" di Nicola Lagioia, che racconta un caso di cronaca nera con gli strumenti del romanzo. Poi ovviamente quello di Lagioia è un talento da romanziere puro, che travalica molto qualsiasi resoconto giornalistico.
Hai presentato il libro già in tante città tra le quali Reggio Calabria, sono tanti i lettori e le persone coinvolte nelle tue storie. Quali sono state le reazioni?
Ci sono state alcune reazioni negative, altre positive, ma penso che in ultima analisi un metodo giornalistico applicato con rigore possa servire come bussola. Se dovessimo sempre scrivere pensando alle reazioni delle persone coinvolte finiremmo in una sorta di melassa, e questo non rende un buon servizio al lettore. Non dico che si debba procedere come delle schiacciasassi, incuranti delle conseguenze, ma non si deve neanche dare troppa importanza ai social, ai giudizi e alle opinioni, altrimenti si finisce con l'essere controllati da quello che il pubblico si aspetta da te.