INTERVISTA A MARCO PEANO AUTORE DI “MORSI”

UNA FAVOLA NERA CHE SPORCA DI ROSSO SANGUE IL CANDORE DI UNA CITTADINA MONTANA

di Cristina Marra 16/03/2022
Le interviste di Cristina
morsi di paoloReggio Calabria. Edito da Bompiani, il nuovo romanzo di Marco Peano è una storia perturbante ambientata in un piccolo paese montano imbiancata da neve abbondante raccontata da una bambina che ricostruisce e indaga quanto accade nel Natale del 1996 quando un “incidente” provoca l’inizio dell’orrore. La normalità e la quotidianità di un microcosmo tranquillo e routinario sono turbate da un episodio avvenuto in una classe scolastica che innesca una catena di altri orrori  che colpisce e svilisce gli abitanti della comunità di Lanzo Peano dipinge con le parole e le sue pennellate narrative colorano il candore della neve che invade il paesino e con leggerezza e anche crudezza il manto nevoso si sporca di rosso sangue. In questo quadro agisce Sonia, la protagonista che vive momentaneamente con la nonna e frequenta l’amico e vicino di casa Teo. Il gioco del doppio, il mistero, la psicologia, la formazione in mano a Peano diventano “ Morsi” un romanzo che si divora 😉

Marco, “Morsi” è una favola nera ,un libro horror, ma anche romanzo di formazione al dolore e alla paura?

Sicuramente, per quanto mi riguarda e per quanto è nelle mie intenzioni, Morsi è un romanzo di formazione. Ha dentro di sé alcuni elementi perturbanti che attingono a specifiche letture personali avvenute durante l’adolescenza, ma vuole essere al contempo un omaggio e uno sfondamento delle barriere legate a quello che consideriamo “genere”.

Sonia, la madre e la nonna, tre donne che rispecchiano tre generazioni diverse, come ti sei calato nei loro panni?

La linea matrilineare ha una valenza davvero speciale: desideravo fortemente che tutto l’arco narrativo fosse affidato a un passaggio di consegne legato all’universo femminile. Volevo che la trasmissione del sapere passasse da madre a figlia, da nipote a un’altra donna della famiglia… ho provato a immergermi in un punto di vista che fosse vicino all’ambiente in cui sono cresciuto. Del resto il romanzo è dedicato alle mie due nonne.

La paura è silente come i pregiudizi?morsi di paolo

La paura è il più antico dei sentimenti umani, diceva – semplificando il suo pensiero – un esperto conoscitore dell’animo umano come Howard Phillips Lovecraft, che ha fatto della paura il cardine della sua poetica. I pregiudizi, soprattutto in provincia, danno benzina al chiacchiericcio: di lì a rendere materiale infiammabile ogni possibile sospetto il passo è davvero breve.

Bisogna mordere la vita per crescere?

Sì, necessariamente. Crescere è la più feroce tra le esperienze vissute da tutti noi durante l’adolescenza: il corpo cambia, la voce si modifica, spuntano peli laddove prima la pelle era glabra, alcune forme si arrotondano dando un nuovo assetto al corpo. Mordere, nel senso più fisico dei denti che affondano, è indispensabile per strappare un pezzo di sé: insieme allo strappo, però, arriva una nuova consapevolezza.

Con Sonia e Teo racconta la crescita e tutto quello a cui si deve rinunciare ma anche la nascita di sentimenti che contrastano con la realtà che li circonda e forse li intrappola?

A un certo punto scrivo che per loro crescere significa imparare a dire addio. Penso davvero che il momento in cui si oltrepassa un confine – Sonia e Teo non possono più dirsi bambini, sebbene abbiano un piede impigliato nell’infanzia, eppure non sono ancora considerabili degli adolescenti –, qualunque sia l’età in cui accade, determini uno sforzo interpretativo che non lascia indifferenti.

Lanzo e il suo candore. La neve nasconde il suo volto oscuro?

La neve seppellisce anche gli aspetti più scomodi della realtà. Tutto è improvvisamente ovattato e lontano dai dolori, ma basta immaginare lo scenario circostante come un luogo in cui – al primo sole – anche le certezze si sciolgono insieme alla neve per rendersi conto che quel bianco accecante riverbera una luce davvero sinistra…

Sonia annusa il mondo, la paura, gli affetti . E’ l’olfatto il senso che la caratterizza di più e che hi scelto quasi come fosse una randagia che si affida a ciò che sente?

L’olfatto è per me un senso davvero centrale, intorno al quale ho costruito una storia che attinge alla memoria olfattiva come se fosse una chiave di interpretazione del reale. Più che una randagia, Sonia sviluppa un istinto animalesco nel muoversi all’interno di un mondo dove sono gli odori, i profumi, le fragranze a essere una mappa olfattiva di ciò che la circonda. E questo suo annusare ha strettamente a che fare con un passato che non ha vissuto, ma insieme le appartiene.

Il luoghi sono quelli della tua infanzia. Il territorio bianco possiamo immaginarlo simbolicamente come la pagina vuota da riempire di storie?

Lanzo Torinese è il posto in cui sorgeva, ed esiste ancora (sebbene abitata da un’altra famiglia), la casa dei miei nonni materni. A quel luogo sono legatissimo: il bianco della neve è stato senz’altro un punto di partenza per questa storia. Volevo che ci fosse un forte contrasto tra il candore e il rosso – presente anche nel titolo suggerito dalla copertina – relativo ad alcuni eventi che segnano la trama.

La provincia è spesso scelta da scrittori di gialli, la tua è un’indagine nel mondo degli adulti oltre che in un territorio chiuso e misterioso?

Il mondo degli adulti, per chi si affaccia all’adolescenza come Sonia e Teo, è il più misterioso degli universi possibili. Ha un fascino proibito e inaccessibile, che solo alcuni elementi (legati inevitabilmente alla crescita, al passaggio di una linea d’ombra) riescono a sancire. Occorre buttare il cuore oltre l’ostacolo e accettare di diventare altro da sé.

Morsi e le sue chiusure ha a che fare con la pandemia o è una storia che hai pensato prima?

Ho iniziato a scrivere questo romanzo in Puglia, nell’estate del 2018. E ho concluso la sua primissima stesura a Lisbona, nel febbraio del 2020. Non potevo immaginare gli sconvolgimenti a cui stava andando incontro il nostro pianeta, e anzi mi sono allarmato quando ho visto quanto stava accadendo. Ma non c’è da stupirsi: la letteratura è da sempre un acceleratore finzionale della nostra realtà.

Teo e Sonia sono due coetanei diversi per appartenenza sociale e pe aspettative, che rapporto hanno con la scuola e col paese di Lanzo?

Non potrebbero esserci due personaggi più distanti tra loro: Sonia vorrebbe andarsene dalla provincia, i buoni voti che porta casa dopo la scuola lo testimoniano. Teo, invece, è sicuro di trovarsi nel posto giusto e vive l’educazione scolastica come un impiccio – tanto che a malapena conosce la lingua italiana, si affida invece al dialetto. Per entrambi il luogo in cui si trovano rappresenta un enigma da sciogliere, prima di tutto con se stessi.

Inserisci cibi fortemente legati oltre che al territorio anche agli anni Novanta, rappresentano il passato che ci appartiene?

L’eredità alimentare ha spesso a che fare con gli individui che siamo, o che saremo. Per Sonia e Teo è davvero così: non solo ricordare una merendina che riguarda il passato ci ricorda che abbiamo attraversato una specifica era, ma fa di noi degli individui mercelogici. Ogni cosa che Teo divora nel corso del romanzo è legata alla tradizione piemontese, perché alla fine – un morso dopo l’altro – siamo sempre, banalmente, ciò di cui ci nutriamo.

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