INTERVISTA A ILIDE CARMIGNANI AUTRICE DI “STORIA DI LUIS SEPÙLVEDA E DEL SUO GATTO ZORBA”

LE MILLE VITE DI SEPULVEDA RACCONTATE CON IMMENSO AMORE DALLA SUA TRADUTTRICE ITALIANA.

di Cristina Marra 03/05/2021
Le interviste di Cristina
sepulveda ilideReggio Calabria (Nelle foto l'Autrice con Sepulveda). Diderot grigio e magrolino con gli artigli consumati a forza di sfogliare le pagine e gli occhi consumati a forza di leggere libri è il gatto bibliotecario del bazar sul porto di Amburgo,

Custode della grande enciclopedia da cui attinge informazioni e dove con l’umano Harry mette a disposizione di chiunque voglia scrivere qual è stato il giorno più felice della loro vita una delle diciassette macchine da scrivere appartenute a famosi scrittori.

Quando entra nel bazar Luis Sepùlveda, Lucho per gli amici, inizia il lungo racconto della storia della sua vita, dei suoi incontri, delle sue scelte, del suo amore e del suo gatto Zorba. Lucho sviscera ogni particolare, condivide ogni emozione, ogni gioia e ogni timore col gatto che era stato così fondamentale per Zorba quando ha insegnato alla gabbianella a volare. Così Ilide Carmignani, traduttrice , anzi “voce “ italiana di Sepùveda, sceglie di scrivere “ storia di Luis Sepùlveda e del suo gatto Zorba” (Salani), la biografia del grande e indimenticabile scrittore cileno scomparso un anno fa.

Carmignani prende il testimone da Lucho e continua a dargli voce, a battere a macchina i ricordi di un uomo combattivo e tenero che la moglie Carmen Yanez ricorda con due contributi all’interno del volume. Vincitrice del premio di traduzione Letteraria dell’Instituto Cervantes, Carmignani si misura con la sua prima opera narrativa che trasuda stima e affetto nei confronti di un autore al quale si sente particolarmente legata e con cui negli anni è diventata amica e confidente.

Come raccontare la vita di un uomo che di vite ne ha vissute parecchie da cittadino del mondo? L’autrice sceglie una formula dolcissima e intensa come quella della narrazione quasi fiabesca per bocca dello stesso Lucho che come il gatto Diderot a cui si rivolge ha bisogno di storie per vivere e che come Diderot, grande amico di Zorba  somiglia tanto a un gatto, un grosso gattone nero travestito da umano.

 
Ilide, mi racconti l’emozione di scrivere a un anno dalla sua scomparsa una biografia per l’autore che hai tradotto e hai conosciuto anche come amico?sepulveda ilide

È stato bello, a volte divertente, a volte commovente, sempre appassionante; Lucho ha avuto davvero sette vite come i gatti. Vite avventurose, incandescenti: il bambino con un nonno anarchico e uno mapuche, lo studente che in cambio di due bottiglie di vino si fa presentare la poeta quindicenne che sposerà due volte, il guerrigliero ragazzino nella Bolivia di Che Guevara, il giornalista di nera, lo sceneggiatore radiofonico, il discepolo del grande poeta Pablo De Rohka, la guardia del corpo di Allende, l’amministratore di una fabbrica di prugne secche, il prigioniero politico, l’alfabetizzatore di contadini nei villaggi delle Ande ecuadoriane, il combattente sandinista in Nicaragua, l’attivista sui gommoni di Greenpeace, il padre affettuoso che ad Amburgo la sera inventa favole per i suoi bambini, il corrispondente di guerra in Africa, l’umano di Zorba, Zarko, Laika e del Compagno Yoyo, il regista cinematografico, il grande scrittore internazionale…  Ricostruire e scrivere tutte queste vite, una dopo l’altra, è stato un modo per rimanergli ancora un po’ accanto, come fosse ancora lui a raccontare, a tavola, con un bicchiere di vino rosso davanti.

Quando hai iniziato a tradurre Lucho avevi intuito che saresti diventata la sua compañera de camino?

No, non me lo immaginavo proprio. C’era una sensibilità particolare nelle sue pagine, un’attenzione fuori dal comune alle figure invisibili, ma nessun collega che io conoscessi aveva rapporti col proprio scrittore. Quando mi fece invitare a Milano per l’uscita del suo secondo libro ero spaventata, temevo un esame da parte di un autore che stava scalando tutte le classifiche, e invece voleva ringraziarmi per avergli prestato la voce davanti ai lettori italiani e voleva chiedermi di accompagnarlo sempre in futuro. E così è stato: 26 libri, più gli articoli di giornale, le sceneggiature…

Sepulveda aveva molto in comune con i gatti,

Sì, Zorba era un po’ l’alter ego di Lucho: un gattone grande e grosso con gli artigli lunghi ma così tenero da covare un uovo di gabbiano e insegnare a volare al pulcino.

Come hai scelto questa struttura narrativa che rende la biografia un racconto-fiaba?

Le sue favole per lettori dagli otto agli ottantotto anni mi sembravano un ottimo modello per raccontare la vita di un uomo che è stato un esempio per molti. E poi la favola mi consentiva di far parlare direttamente lui. Io mi sono tenuta completamente fuori dalla storia, l’invisibilità non mi dispiace. Al porto di Amburgo, nel bazar di Harry, che è nella Gabbianella ma esiste davvero, c’è un archivio della felicità: tutti sono invitati a scrivere il giorno più felice della loro vita e a conservarne il ricordo dentro uno dei suoi 3600 cassetti; è una pila carica di energia, un amuleto contro l’infelicità. Lucho va ma poi si accorge che, magari per pochissimo tempo, è stato felice ogni giorno della sua vita e decide quindi di raccontarli tutti. Gli tiene compagnia Diderot, il gatto bibliotecario del bazar, il custode dell’Enciclopedia, il cui motto è: «Libertà, uguaglianza e fratellanza».

Zorba lo abbiamo amato tutti. Per Sepúlveda è stato come Snowball per Hemingway? Perché amava così tanto i gatti?

Zorba era il suo gatto amburghese, gli ha tenuto compagnia mentre scriveva la Gabbianella. Lucho amava e ammirava i gatti perché, diceva lui, sono anarchici, non vogliono obbedire né dare ordini, sono piccoli monumenti alla libertà. Nella Storia di Luis, fra le altre foto personali, ce n’è una col Compagno Yoyo, il suo ultimo gatto, che con le zampette batte sui tasti del computer di Lucho. Però tutti gatti di Lucho avevano cinque dita, non sei come quelli di Hemingway.

Dopo tanti anni passati sulle sue parole ti sei sentita un po' Lucho nella stesura di questo libro?

Ho continuato a sentirmi il suo doppio, come quando mi limitavo a tradurlo. Non è poco.

Mi racconti un ricordo di Sepulveda scrittore e uno di amico?

Di Sepúlveda scrittore ricordo 3500 persone che lo ascoltavano col fiato sospeso nel silenzio assoluto, una volta che l’ho presentato in un palazzetto dello sport in Veneto, alla Fiera delle parole. Di Lucho amico ricordo quanto gli piaceva la pasta col ragù di mia zia Dorina. Quando lei è mancata ho cercato di rifarlo per lui, non mi è mai venuto così buono, ma ne mangiava due piatti lo stesso.

La moglie interviene in apertura con una poesia e in chiusura con la postfazione. Che rapporto è stato il loro?

Carmen Yáñez, poeta, è stata la compagna della sua vita per cinquant’anni attraverso mille rivolgimenti storici e due continenti. Ha condiviso tutto con lui. Si erano sposati giovanissimi e il golpe di Pinochet li aveva in qualche modo divisi – la clandestinità, il carcere, Villa Grimaldi, l’esilio - ma a distanza di tempo si sono ritrovati e risposati; come testimone avevano loro figlio Carlos. Quando mi sono resa conto con grandissimo dispiacere che Lucho non avrebbe più potuto scrivere un’autobiografia come gli chiedevamo in molti, ho parlato con Carmen e lei mi ha incoraggiato, ha detto che scrivere la storia di Lucho sarebbe stato «un gesto di giustizia poetica» e mi ha aiutato: mi ha mandato le foto di famiglia, la genealogia dei Sepúlveda, e quel testo molto tenero sul rapporto di Lucho con gli animali. La poesia gliel’ho chiesta io, era così bella, e insieme al testo finale era come se Carmen abbracciasse tutta la Storia di Luis.

C’è una parte della biografia alla quale ti senti più legata, un ricordo, una ricostruzione, un libro?

L’infanzia col nonno anarchico e il padre comunista, un’educazione prima ancora che politica “sentimentale”.

Quanto mancherà Sepulveda e quanto verrà conosciuto e apprezzato dalle nuove generazioni?

Manca immensamente, ma la sua opera resterà e continuerà a parlare a tutti.

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