GERARDO SACCO, L’ORAFO DELLE DIVE

NEI SUOI GIOIELLI HA SAPUTO RACCHIUDERE L’ANIMA PIÙ PROFONDA E GENUINA DELLA SUA REGIONE: LA CALABRIA.

di Cristina Marra 16/01/2023
Eccellenze Made in Italy
SACCO OREFICENei luoghi dove il mito e la civiltà della Magna Grecia si respirano ancora, dove il territorio è custode di leggende, credenze, fatti storici e vicende tramandate da secoli, un orafo muove le sue mani sapienti ed esperte e trasforma quei miti in gioielli, si chiama Gerardo Sacco.
Dagli esordi a Crotone nel 1963 è diventato l’orafo delle dive e il “cantore” della sua Calabria conosciuto e apprezzato a livello internazionale ha creato gioielli per il cinema, il teatro e la televisione. La sua arte orafa, realizzata nel laboratorio di Crotone, è inconfondibile e resta sempre la sua terra di origine, dove vive e crea, la Calabria, la sua musa ispiratrice. Personaggi mitologici e letterari, maschere apotropaiche e del teatro greco, monete e talismani, animali marini e segni zodiacali, sono interpretati da Sacco in chiave moderna e diventano gioielli in oro e argento da indossare con la consapevolezza che racchiudono storie antiche ma sempre attuali.   
 
Gerardo, i suoi gioielli sono ispirati e dedicati alla Calabria. Che rapporto ha con la sua regione e quanto si sente apprezzato dalla terra che con generosità celebra con la sua arte orafa?SACCO OREFICE
 
Crotone e la Calabria, sono diventate per me un grande emporio di conoscenza, dove, in ogni angolo, è possibile scoprire i segni di una storia illustre nella quale confluiscono la cultura magno-greca e l’apporto fecondo dei popoli che, nel corso dei secoli, con le loro presenze hanno contribuito a definirne il profilo identitario.
Ho imparato a leggere questa nostra storia millenaria che è scritta soprattutto nei reperti archeologici, nei ruderi architettonici disseminati in tutto il territorio, nelle chiese di montagna, nelle cattedrali e nei castelli, nelle credenze e nelle superstizioni popolari, nei riti religiosi e laici di tradizioni antiche legate anche a etnie diverse.
Sento di essere diventato un conoscitore dei beni culturali calabresi e meridionali.
Un traguardo ragguardevole, questo, per un autodidatta, al quale è mancato il supporto formativo delle istituzioni scolastiche, costretto a cimentarmi, ancora bambino, con le dure esperienze del lavoro.
Ma va anche oltre: la scuola della vita, le importanti frequentazioni legate alla mia attività, la ricerca e lo studio della storia generale e dell’arte mi hanno concesso di accumulare un bagaglio culturale di tutto rispetto.
Questa ansia conoscitiva mi porta anche a sperimentare, così come avevo cominciato a fare durante il mio soggiorno a Valenza Po, tecniche operative e strumenti nuovi e nuovi materiali, per verificarne la capacità di piegarsi alle intenzioni dell’artista.
Tutta la mia attività è legata alle conoscenze acquisite nel tempo e deve la mia originalità alla capacità di trarne idee, emozioni, forza di ispirazione.
 
Le sue collezioni sono un vanto del made in Italy non solo per la produzione artigianale ma anche per la promozione del territorio calabrese nel mondo. Quando nasce il suo prima gioiello dedicato alla Calabria?
 
È una collana fatta con le “cuticchie”, con quelle piccole pietre di colori diversi presenti sulle rive dei nostri mari che le modellano in varie forme. Un gioiello che conservo come una reliquia sacra, testimonianza di una precisa scelta, quella di trarre ispirazione dalle peculiarità della nostra terra, soprattutto dal suo passato e dai segni, piccoli e grandi, che ci ha lasciato. Ogni traccia, però, deve essere studiata attentamente, per capirne la provenienza, l’epoca, il significato reale e simbolico. Solo così può nascere l’impulso creativo. Le maschere apotropaiche in terracotta attirano subito la mia attenzione: le ho viste presenti su tutto il territorio crotonese, mi sono documentato e ho scoperto che sono figure elleniche antropomorfe che gli antichi ritenevano capaci di tenere lontano il male, proprio come suggerisce l’etimologia greca, da cui traggono il sacco orafonome. Fanno parte, quindi, di una diffusa credenza popolare che ho raccolto e valorizzato dedicandole una linea di gioielli, veri e propri amuleti portafortuna. Con lo stesso intento di eternare memorie storiche, nascono i gioielli ispirati dai Bronzi di Riace, dal Drago di Caulonia, dai Pinakes della locride, dal crocifisso di Polsi, dall’Animella della Varia di Palmi, dalla Ulivarella cresciuta su uno scoglio in mezzo al mare di Palmi e così via. Ed è tutto il territorio calabrese che offre materia di ispirazione.
 
Tradizione e innovazione, come mescola nei suoi gioielli l’antichità del mito e della storia con la modernità?
 
Quando per la prima volta mi hanno parlato di nuove tecnologie di prototipazione 3D non nego che mi ci sono avvicinato con diffidenza. Quando ho capito che la tecnologia non sostituiva la creatività ma l’aiutava ad esprimersi al meglio ho cambiato idea.
Le macchine per loro natura sono stupide perché rispondono alla mente umana i vecchi scultori hanno solo cambiato strumenti passando dallo scalpello alla pennetta grafica.
I software sono competenti nel calcolo ma privi dell’elemento emotivo che gli conferisce l’aspetto umano connettendo la macchina con l’arte ad un livello più profondo. 
Prima si scolpiva direttamente il materiale e se si sbagliava non si poteva tornare indietro oggi il computer ci aiuta nell’errore potendo tornare indietro e riparare all’errore di calcolo.
I gioielli creati con la tecnologia non sono più così riproducibili come prima arginando di fatto la questione del plagio.
Quindi posso dire che non conosco lo strumento e ne sono in grado di utilizzarlo ma ho la creatività necessaria per dirgli attraverso i miei collaboratori cosa fare.
 
Lei ha il primato di aver introdotto nel mondo del cinema gioielli veri, dal 1985 in poi è diventato l’orafo delle dive. Com’è stato il suo approccio col cinema e quanto le ha dato e insegnato il grande schermo a livello creativo?
 
Zeffirelli in una celebre intervista del ’93 dichiara espressamente: «confesso con piacevole candore che i lavori di Gerardo mi hanno aiutato a comprendere che i gioielli in scena non si riducono mai ad un dettaglio irrilevante». E aggiunge che essi sono stati un prezioso strumento che ha contribuito a caratterizzare i personaggi e ad evidenziarne «le cariche interiori e le gradazioni della intensità emotiva» come è accaduto «nelle turbinose sequenze de Il Giovane Toscanini, nelle reinterpretazioni dell’enigmatico mito shakespeariano dell’Otello e dell’Amleto, nella estenuante ricostruzione scaligera del verdiano Don Carlos». Per questo, per lui, il Nostro è un genio dell’arte orafa, un caposcuola, «il primo che si è cimentato in maniera autorevole con il registro ed il timbro del complesso linguaggio cinematografico». Si tratta di un lusinghiero apprezzamento che ha facilitato il viaggio dei gioielli Sacco dalla “officina” di Crotone alle vetrine delle gioiellerie più prestigiose, in Italia e all’estero: un primo passo decisivo verso la meritata conquista di uno spazio adeguato nelle più importanti mostre internazionali, a New York, a Boston, a Los Angeles, a San Francisco, a Singapore, a Hong Kong, a BangkoK e Tokio, all’Expò di Lisbona, come unico orafo italiano, a Stoccolma e poi a Madrid e a Rio de Janeiro. Una conquista che continua ininterrottamente. Il mio intento originario, quello di inserire la Calabria e l’intero Mezzogiorno nel circuito di una comunicazione allargata, non è davvero rimasto la velleitaria ambizione di un artigiano di provincia che fabbrica sogni proibiti e insegue utopie. È, invece, una conquista concreta, una realtà viva, sempre in crescita, tanto che mi sento ambasciatore efficace della Calabria, del Mezzogiorno e del Mediterraneo nel mondo. L’arte orafa, del resto, come la pittura e la scultura, le sue consorelle maggiori, non ha bisogno di traduttori per essere intesa e apprezzata fuori dai confini nazionali. Ha un linguaggio universale che, attraverso l’occhio che osserva e scruta, riesce a parlare alla mente e al cuore di tutti coloro che, sotto qualsiasi cielo, vengono a contatto con essa.
Abbiamo collaborato di recente nell’ultima sua mostra a Villa D’Este a Roma, più dell’evento, che ha raccontato i successi di un indiscusso protagonista del cinema e del teatro, era stato l’incontro con Zeffirelli, qualche mese prima, a commuovermi. Era seduto su una poltronasacco orafo di velluto e indossava un pigiama di raso blu. Non mi riconobbe, nonostante mi fossi avvicinato e lo avessi salutato con l’affetto e il calore di sempre.
Feci fatica a trattenere le lacrime. Avevo davanti l’uomo che ha cambiato la mia vita ma, per la prima volta, i nostri sguardi non riuscivano a esprimere la sintonia dei momenti migliori. Mi congedai da lui dopo pochi minuti. Ero quasi arrivato al cancello che venni raggiunto dal maggiordomo di Zeffirelli. “Signor Sacco, il Maestro vuole vederla!”. Ero attonito. Confuso. Non riuscivo a capire cosa potesse essere improvvisamente accaduto. Ebbi la risposta quando mi ritrovai davanti a Franco. Questa volta sorridente, lo sguardo di sempre ma, soprattutto, le sue mani protese verso di me, pronte ad accogliermi nell’abbraccio che, solo qualche istante prima, avevo vanamente atteso. Era successo che, appena uscito di casa, aveva domandato al suo assistente chi fossi, rivelando di aver avuto la sensazione che in passato ci avesse uniti
qualcosa di importante. E alla risposta che ero Gerardo Sacco, aveva chiesto subito di me. “Gerardo, amico mio, sono felice di incontrarti nuovamente”, mi disse con la voce stanca e tremolante, “siediti vicino a me”. Lo assecondai, mentre il cuore mi batteva forte per l’emozione. Mi sembrava di sognare. Era come se fossi tornato indietro nel tempo, fino al momento del nostro primo incontro, quando un sorriso aveva cancellato di colpo ogni traccia della sua risentita reazione per il ritardo con cui mi ero presentato negli studi De Paolis. Franco mi regalò una serigrafia del bozzetto disegnato nel 1977 per il suo Gesù di Nazareth. È uno dei cento esemplari stampati di quel lavoro, che custodisco come una reliquia
 
 La sua produzione si realizza a Crotone, perché ha scelto di rimanere nella sua città e quanto è importare valorizzare le potenzialità di un territorio?

Valorizzare vuol dire creare, migliorare e sostenere un cambiamento che apporti appunto un valore nel mio piccolo ho voluto rimanere per far capire al mondo che la mia città, la mia terra aveva molto da raccontare e che ha una forza attrattiva immutata nel tempo.
 
Dal laboratorio ai negozi, quanto è presente lei in tutte le fasi del brand Gerardo Sacco?
 
Ancora in tutto, anche se nel tempo ho imparato a valorizzare le risorse interne all’azienda in primis mia figlia che mi ha insegnato che una azienda non è solo forza creativa ma anche management e merito.
 
Ha anche dedicato una collezione alla Divina Commedia nell’anniversario di Dante. Arte letteraria che diventa arte orafa, che rapporto ha con la letteratura?

Mi sono appassionato nel tempo e Dante con la capacità di creare quadri mi ha dato spunto per una linea di gioielli che sa raccontare il sommo poetaHa scritto anche due libri due storie personali di coraggio e di scelte di vita. Le piace raccontarsi?
Non ho io scritto i libri ma come ben dice mi sono raccontato, ho voluto lasciare un compendio che sapesse riassumere 60’anni di attività al SUD

Partecipazioni a manifestazioni, eventi e attività benefiche e per i giovani la contraddistinguono. Quale ricorda con maggiore coinvolgimento emotivo?

Senza dubbio l’evento in mio onore organizzato il 28 febbraio 2008 nell’Aula Magna dell’Università della Calabria e moderato dal giornalista Mario Tursi Prato. In qualche modo quel giorno mi sono riconciliato con la vita. Ho chiesto alla platea che mi ascoltava di capire le difficoltà, i timori, i limiti con cui non ho mai smesso di fare i conti, ma anche di considerare con benevolenza i frutti della mia lunga e faticosa esperienza di artigiano. Attraverso la quale ho provato a recuperare le occasioni perdute. Le opportunità mancate.

Una delle sue ultime creazioni è un ciondolo dedicato alle maschere del teatro, al doppio volto. Mi racconta brevemente come nasce un suo nuovo gioiello?
 
Un dualismo che ci appartiene e ci definisce siamo positivi e negativi, contenti e scontenti, positivi e negativi ma meravigliosamente unici.
Il gioiello nasce da una emozione e quando crei lasci sempre qualcosa di tuo ti racconti e ti metti a nudo ogni mio gioiello parla di me e della mia esperienza. Poi ho collaboratori fantastici che sanno interpretarmi con maestria

Un gioiello Gerardo Sacco è spesso copiato, come reagisce alle imitazioni?

Rispondo con una frase di Rita Levi Montalcini: “Rare sono le persone che usano la mente, poche coloro che usano il cuore e uniche coloro che usano entrambi.”

CRISTINA MARRA

(per il video cliccare sul link)
https://www.instagram.com/p/CbhnNnXN3NI/?igshid=MDJmNzVkMjY= 
 

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