FACCIAMO SENTIRE LA NOSTRA VOCE A DIFESA DEL TEATRO… COVID-19 PERMETTENDO

AI POLITICI QUALCUNO HA RICORDATO CHE C’È ANCHE IL TEATRO TRA LE EMERGENZE CULTURALI? IL DIBATTITO È APERTO…

di Salvatore Scirè 16/05/2020
VIVA IL TEATRO
TEATRO SCIRERoma. Teatro! Ne avete sentito parlare? Praticamente per nulla, o molto poco, almeno da parte dei politici che dovrebbero occuparsi di come far ripartire il paese.
Premetto che non li invidio affatto: non vorrei trovarmi al posto loro, a gestire una situazione gravissima, impensabile e del tutto sconosciuta anche agli scienziati.

Però, va detto purtroppo, il “panorama” non è esaltante: i migliori sono solo classificabili come “volenterosi”. Non è una novità che l’attuale classe politica difetta in preparazione. In compenso, regna spesso l’arroganza, il menefreghismo, l’autoreferenzialità, la polemica a tutti i costi, come se si andasse a votare dopodomani!  
Per non parlare poi del nostro popolo di artisti, poeti, navigatori, e da qualche tempo virologhi, epidemiologi e – da pochissimo – anche costituzionalisti “fai da te”!

In tali condizioni effettivamente è difficile muoversi e districarsi.

Sicuramente lo spettacolo dal vivo è il settore maggiormente colpito dalla crisi Covid-19: lo è per definizione, lo è ontologicamente, altrimenti non si chiamerebbe teatro, ma sarebbe altro.
Il teatro nasce dalla vicinanza del pubblico; presuppone una osmosi di emozioni che dal palcoscenico passa alla platea; e che dalla platea ritorna indietro, fino a sfiorare gli attori, a infondere loro ulteriore forza. L’attore è per sua natura “istrionico” (nell’accezione più benevola del termine): il pubblico lo esalta, l’applauso gli dà la carica; e quando il pubblico reagisce poco, l’attore entra in crisi. Specialmente nel comico, se non parte la risata là dove normalmente avviene, gli attori diventano sgomenti, pensano di aver sbagliato qualcosa e subito, dietro le quinte si guardano, si interrogano.

In effetti, ci sono delle serate in cui pare che il pubblico si sia messo d’accordo: “stasera non ridiamo, o ridiamo il minimo indispensabile”. Invece, alla fine esplode l’applauso convinto, liberatorio.

Questo per spiegare con un esempio concreto come il teatro viva di pubblico e con il pubblico.

Ecco perché parlare di teatro in streaming viene mal digerito dagli addetti. Poi, per carità, in quarantena, va benissimo anche riproporre uno spettacolo registrato. Ma quando la ripresa è stata fatta, il pubblico c’era, quindi erano state rispettate le regole esistenziali del teatro.

Che poi la gente, da casa, tra un bollettino della Protezione Civile e un servizio dei tanti telegiornali decida di vedersi uno spettacolo, di qualunque tipo, va benissimo: non pagano il biglietto, ma poco male: si sa che tutti noi teatranti (mi esprimo nella duplice veste di giornalista e di “teatrante”) non siamo mossi dall’ingordigia del guadagno (salvo rare eccezioni, che purtroppo esistono e non faccio nomi!), bensì, come la Tosca di Puccini, potremo dire un giorno : “vissi d’arte, vissi d’amore”!

A tutti i livelli, infatti, alla base del teatro c’è amore, attrazione, fascinazione: l’attore (ma anche l’autore, il regista, il coreografo etc.) svolge la sua attività perché la ama, perché è disposto a sacrificarsi. Pensate a una prova generale andata male, in cui il regista si incazza e dice “rifacciamo tutto da capo”  (e come spesso avviene, le prove non sono pagate!). Gli attori sono i primi a dire di sì, rifacciamo tutto lo spettacolo, anche due volte, se serve, si lavora fino alle 3 di notte: perché vogliono sentirsi sicuri, vogliono fare bella figura:  amano ciò che è stato faticosamente costruito.

Pensate solo a immaginare un qualsiasi dirigente di un qualunque ufficio, che il venerdì alle 14 dice: “non tornano i conti, oppure i tabulati sono sbagliati, o mancano ancora il 30% delle pratiche che devono partire lunedì mattina. Bisogna finire! Proteste, rivoluzioni, sindacati, comitati, commissioni interne...  Ecco, quest’esempio, fa capire in modo evidente la differenza tra fare l’attore (ma l’esempio vale per tutti gli artisti) e l’impiegato al ministero, al comune, in banca etc. etc. Ed era una premessa indispensabile e indifferibile.
 
La realtà teatrale è oggi molto complessa e variegata.

Partiamo dal basso, dai cosiddetti teatri-off. Spesso e volentieri ricavati in locali angusti, seminterrati, che però svolgono una funzione ben precisa: permettono ai giovani di fare esperienza, e ai meno giovani di continuare a trasmettere esperienza, quindi a insegnare qualcosa.  E nessuno è partito direttamente dal Brancaccio o dal Sistina. Tutti sono “nati” nei teatri-off, bravi e meno bravi.

Anche i giovani diplomati di celebrate accademia qui muovo i loro primi passi.  Io, personalmente (parlo come autore) in una delle mie primissime commedie al Teatro Petrolini ho avuto nel cast niente di meno che una giovanissima Virginia Raffaele, già allora assai brava e promettente. Cito e ricordo lei per indicare l’esempio più eclatante. Ma tanti altri attori, si sono formati e sono cresciuti in quegli. Al Teatro Petrolini  girava gente come Marco Simeoli, Roberto D’Alessandro.  Maurizio Battista ha iniziato al Teatro Testaccio, ai Miti, e così via. 

Ma i teatri off hanno anche un’altra non trascurabile funzione: quella di attirare gente a teatro: quella gente che ovviamente va a vedere l’amico, il cugino, la vicina di casa che si esibisce sul palcoscenico.  Gente che non avrebbe mai messo piede in uno spazio culturale, ma che poi apprezza, si diverte, e magari, seguendo il conoscente che fa carriera, oppure richiamato dalla curiosità o dal nome noto, si abitua a frequentare teatri, grandi e piccoli. E insomma, anche la “sora Teresa” del piano di sotto possiamo incrociarla al botteghini del Quirino o del Brancaccio.  Lo sapete che Pietro Garinei usava frequentare i teatri off?  Chissà perché?  Magari, andava a caccia di nuovi talenti? O no?

Poi ci sono i teatri intermedi, quelli da 200/300 posti: tutto cresce, tutto si amplia, l’impegno, i costi di produzione etc.etc. Ma il teatro intermedio rappresenta già un approdo importante per moltissimi attori/autori/registi. Un’emozione forte, quella di esibirsi davanti a una platea così vasta: passare dagli 80/90 posti del teatro off al triplo ti dà una botta di adrenalina non indifferente.
Poi c’è il passo successivo, il grande teatro, il teatro di grido.

Ovviamente su 100 che partono dal teatro off, passeranno in 50 al teatro di media dimensione, e ai grandi teatri approderanno solo 15/20 (i numero sono del tutto ipotetici, solo per rendere l’idea), ma se non partissero in 100 dal basso, non arriverebbero in 15/20 al livello più alto. È un fatto naturale.

In buona sostanza, i teatri-off sono il serbatoio ovvero il brodo di coltura delle nuove generazioni attoriali. Amici incrociati in teatri-off qualche anno fa, di recente me li sono ritrovati al Sistina.  Se non fossero mai partiti, non sarebbero neppure arrivati!

In altri termini, il teatro è come una grande famiglia, dove ci sono i nipotini inesperti ma con voglia di imparare, e pure i nonni, che hanno tanto da insegnare loro.
Oggi, in tempi di Coronavirus, tutti i teatri sono in crisi, fortemente penalizzati, pressoché dimenticati e negletti da una classe politica che non ama la cultura, evidentemente (forse perché non ha cultura; e si vede!).

Comprendiamo che in simili circostanze sanitarie, sarebbe da irresponsabili pretendere di aprire teatri e teatrini, esponendo spettatori ed artisti ad enormi pericoli. Però il mondo del teatro e dello spettacolo dal vivo in genere è in forte crisi.  Cerchiamo di capire meglio alcune cause.

Iniziamo con le strutture: avete un’idea di quando pagano di affitto i grandi teatri? Cifre esorbitanti, solitamente versate a società di capitale, le quali si sono ben guardate dal dire “amici, visto che c’è questa situazione, vi facciamo uno sconto.... del 50 (butto una cifra a caso).

Le produzioni: non molte, per la verità; oggi si contano sulla punta delle dita e si occupano soltanto di grandi spettacoli, musical etc.;  tutto il resto, è quasi interamente autoprodotto, da gruppi di attori, di autori, di registi, insomma da visionari idealisti! Disposti anche a giocarsi qualche migliaio di euro, per perseguire un sogno artistico, spesso e volentieri di pregio.
E non dimentichiamo i tecnici: scenografi, elettricisti, macchinisti.

Vogliamo dire che il teatro è una vera e propria filiera?  Certamente sì.  Un macrocosmo che abbraccia un’infinità di individui.
Proprio oggi leggo di un tentativo di “autocertificarsi” come attori iscritti a un ipotetico albo da creare. Secondo me, questa non è la strada migliore quella di “contarsi” e di costituirsi in gruppo di primo livello, tanto per distinguersi da quelli che vengono appresso.  Ed evitare così una scomoda concorrenza.

Oggi il mondo teatrale è costituito da varie classi di artisti. Ci sono i professionisti in senso puro: quei pochi che vivono di solo teatro (ma aggiungiamoci pure cinema, televisione, pubblicità).
Poi ci sono gli “amatoriali” di livello professionale: sono tutti quelli che si collocano ad un livello ottimale, ma non riescono a vivere solamente di arte, per tutta una serie di motivazioni che non stiamo qui ad indagare.

Poi ci sono gli “amatoriali” veri e propri, dove si trova di tutto: dalle buone individualità, alla semplice buona volontà!  Sono quelli che montano una commedia in sei/sette mesi di prove. 
Ma attenzione, anche questi ultimi hanno una loro funzione culturale e sociale, come detto all’inizio, e possono contribuire a ingrossare le fila di quanti imparano a conoscere il teatro.
Tanto per tranquillizzare i “grandi” professionisti: nessuno di questi potrà mai insidiare i loro contratti! Quelli “di peso”.

Riassumendo il discorso, il mondo del teatro dovrebbe essere più compatto, più unito, proprio per portare avanti battaglie e proposte comuni, badando meno al singolo orticello dietro casa, ma a tutto il complesso di questa articolata e multiforme realtà. E cercare delle soluzioni, che potrebbero rivelarsi utili di questi tempi.

Butto qualche idea che mi è venuta,  vivendo dal di dentro e da vicino questo variegato panorama, sia come modesto commediografo, sia come giornalista.
Uno dei problemi principali è costituito dai costi di affitto, che a loro volta sono strettamente collegati con i canoni di locazione.

Ora, secondo le ultime provvidenze economiche, pare che il 60% delle somme erogate a tale titolo possa essere dedotta come detrazione di imposta. Idea condivisibile, a una prima analisi, ma presuppone che lo spazio teatrale, anche se “chiuso” per motivi sanitari, abbia continuato a pagare regolarmente il canone al legittimo proprietario. E se resta chiuso diciamo da marzo a ottobre/dicembre che sia, si suppone che non abbia avuto reddito imponibile, o che comunque tale reddito sia quasi inesistente: in due soli mesi del 2020 non vedo all’orizzonte molte tasse da pagare, quindi la detraibilità dell’affitto va a farsi benedire. Forse, ci sarebbe voluto un po’ più di coraggio: a fronte di una crisi di dimensioni epocali, che mette a rischio tutta la struttura economica e sociale, non si capisce perché tale crisi non debba minimamente sfiorare il “legittimo proprietario” dell’immobile. Non si poteva pensare a un dimezzamento ex lege dei canoni di affitto?  Tra l’altro, meccanismo estensibile e tutti coloro che, la mattina, alzano una qualsiasi saracinesca, per pagare un affitto al “legittimo....”.

Pensiamo poi, alla maggior azienda culturale italiana che si chiama RAI, la quale, trae tutti i benefici dal suo ruolo e dalla sua posizione (non ultimo il tanto deprecato canone!).
Ma qui andremmo a finire lontano: bisognerebbe parlare di gestione e di invadenza della politica, di costumi e malcostumi, e via discorrendo.
Mi limito, quindi, a una semplice idea. Sono due mesi circa che la RAI ci propone repliche di programmi già visti, pur continuando a incassare per intero il canone e la pubblicità!

Se la RAI volesse in prospettiva aiutare il teatro, potrebbe fare una cosa molto semplice: seguire le stagioni dei teatri più importanti o più validi, grandi e piccoli, e riprendere gli spettacoli migliori, per mandarli in onda una volta concluse definitivamente le repliche. Tra l’altro, così facendo permetterebbe anche al pensionato di Pinerolo o alla casalinga di Canicattì di vedere uno spettacolo di livello, che certamente non riuscirebbe a vedere dal vivo per vari motivi, tutti abbastanza intuitivi.

Il tutto, con un costo che sarebbe relativamente basso per la RAI e che si rivelerebbe linfa vitale per il teatro. Ricordando che, tra l’altro, gli attori delle fiction (quelli bravi!), dal teatro provengono!!!

Lasciando stare idee strampalate come il teatro in streaming o le esibizioni via Zoom, che vanno bene solo in tempo di Coronavirus!  In questo periodo di lockdown,  sono decine, anzi centinaia, gli artisti che hanno voluto dare un segno di “esistenza in vita”, e che grazie alle loro dirette Facebook, ad esibizioni quotidiane, a interventi di ogni genere, hanno contribuito ad alleviare il blocco forzato in casa di tanti italiani!

Siamo certi che il teatro si riprenderà e ripartirà, magari lasciando sul campo “morti e feriti”, ma il teatro fa parte della storia, della cultura, della letteratura. E ci manca! Tantissimo!
VIVA IL TEATRO! 

di Salvatore Scirè 
commediografo e giornalista
 

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