“DELITTO A VILLA FEDORA”, IL COMMISSARIO CHANTAL, DI LETIZIA TRICHES, SI PRENDE LA SCENA

AMBIENTATO A ROMA, IL NUOVO GIALLO DELLA TRICHES SI LEGGE COME UN FILM

di Cristina Marra 11/11/2019
Le interviste di Cristina
giallo trichesRoma. Letizia Triches torna in libreria con una nuova serialità che regala graditi ritorni e belle novità che divertiranno i lettori dell’autrice già conosciuta e apprezzata per la serie di romanzi gialli con protagonista il restauratore con l’abilità del detective, Giuliano Neri.
Con “Delitto a Villa Fedora” la scrittrice romana si misura con una protagonista donna, il commissario Chantal Chiusano e la componente femminile lega tutta la narrazione di una storia di impronta familiare che parte dall’omicidio di una donna per svelare misteri e intrighi che, come in un set cinematografico, coinvolgono vari attori che hanno a che fare con la scena del crimine.
Ancora una volta l’eleganza della scrittura di Letizia Triches cattura e coinvolge. La prima presentazione si svolgerà a Roma alla libreria Feltrinelli via Appia Nuova 427 alle ore 18,00.

Nuova serialità. Abbiamo conosciuto Chantal Chiusano in “Verde napoletano” e l’abbiamo ritrovato in “I delitti della Laguna”. Perché hai scelto il commissario Chiusano per la tua nuova serialità?

Esistono dei personaggi che continuano a vivere nella mente di uno scrittore, anche a libro concluso. Chantal è uno di quelli. Era una delle due protagoniste del mio primo romanzo. Tuttavia “Verde napoletano” è l’unico giallo che ho scritto ad avere un finale parzialmente aperto. La dinamica degli omicidi, le modalità, le motivazioni vengono chiarite, il colpevole è consegnato alla giustizia, ma in campo resta un dubbio irrisolto. Più volte mi sono interrogata sul perché di quel finale, senza riuscire a darmi una risposta soddisfacente. E poi Chantal Chiusano ricompare nel mio quinto romanzo, “I delitti della laguna”, nelle vesti del commissario con il quale collabora Giuliano Neri, il restauratore fiorentino protagonista della mia serie precedente. Intuivo che si trattava di un segnale da non sottovalutare. Prima o poi sarebbe tornata. Mi sono concessa ancora un romanzo con Neri e infine ho capito che era inutile resisterle. È stata lei a scegliermi. Vuole che l’aiuti a sciogliere il nodo che si porta dentro da troppo tempo.  Dai quadri al set cinematografico.

Arte e morte adesso Morte e Fiction. Anche il mondo del cinema è inquieto?

Da appassionata cinefila non faccio distinzioni tra le varie espressioni artistiche. Inoltre i rapporti tra arti visive e cinema sono sempre stati strettissimi. Quindi il fil rouge dei miei romanzi continua a essere Arte e delitto. La stessa Chantal, infatti, conduce le sue indagini in un modo che potremmo definire artistico. Vedova di un pittore, che è stato il grande amore della sua vita, ha imparato da lui. L’artista vede con la mente e parla di cose che non si possono intendere se non si frequenta l’arte molto da vicino. La finzione cinematografica descrive la realtà nella sua interezza, perciò è inquieta. Deve prendere in considerazione anche il lato oscuro. Se non lo facesse, resterebbe incompleta. Inoltre, i cattivi sono seducenti e lo sono proprio perché l’incontro con loro ci costringe a prendere coscienza di alcune caratteristiche presenti dentro di noi, anche se non a livello patologico.

La scenografia diventa personaggio oltre che sfondo per vicende reali o per la finzione?

Sì, la scenografia vive di vita propria. È un personaggio a tutti gli effetti. Io non riesco a prescindere dallo spazio in cui accadono gli eventi, sia pure un illusorio spazio scenico. In una storia, personaggi, situazioni e intreccio sono tutti elementi importanti, ma la dimensione spaziale ha la stessa valenza. Secondo me, il luogo in cui si svolge l’azione ha una funzione decisiva per le vicende narrate.

Una costante dei tuoi romanzi è il “doppio”. In questo alla ricostruzione dell’omicidio di Liliana c’è anche la ricostruzione della vita di Alberto?

Non posso prescindere dal tema del doppio, forse perché mi interrogo continuamente sulla natura della mente umana e sulla scissione dell’anima che costituisce una componente ineluttabile della nostra personalità. Il nostro è un equilibrio precario. Per questo i miei personaggi si muovono in una sorta di ambiguità che evidenzia comportamenti contraddittori, come se ciascuno fosse abitato da due personalità diverse, in perenne contrasto fra loro.  Nel caso di Liliana e Alberto questo aspetto è sottolineato dai due differenti piani temporali. Le loro due storie scorrono a distanza di quasi vent’anni l’una dall’altra, ma i riferimenti sono continui in un gioco di rimandi che spinge il lettore a raccogliere ogni indizio fino alla soluzione finale che scioglie l’enigma dell’efferato omicidio di Liliana e ricompone la verità nella sua interezza.

Giallo e noir convivono perfettamente nel romanzo. Hai curato maggiormente l’introspezione?

Seguo lo schema del giallo classico deduttivo. Dialoghi, ambientazione, sorprese, colpi di scena, sequenze narrative: una sorta di meccanismo a orologeria, in cui tutto deve incastrarsi perché il meccanismo giri. Sfido il lettore: l’impianto deve essere preciso e ben strutturato, perché possa decrittare l’accaduto. Nei miei romanzi, tuttavia, l’intreccio giallo è sempre funzionale alla psicologia dei personaggi e dei loro rapporti reciproci. Il modo in cui pensano e agiscono determina lo sviluppo della storia e le loro esperienze personali sono fondamentali per risolvere il caso. Non nascondo che in “Delitto a Villa Fedora” il lato introspettivo ha avuto un peso rilevante. Forse perché la componente femminile qui è forte. Noi scrittrici di gialli noir amiamo scavare nelle pulsioni omicide del quotidiano.

Chantal è la protagonista ma mi pare che sia un romanzo corale con tanti personaggi di varie età che coprono diverse generazioni e raccontano una storia come se fosse la sceneggiatura di un film, è così?

È vero, il commissario Chantal Chiusano, pur essendo la protagonista, è affiancata nelle indagini da altre figure. Da Giovanni Pozzi, medico legale e anatomopatologo, e dall’ispettore Ettore Ferri, suo fedelissimo vice. Insieme costituiscono la squadra investigativa della serie. Intorno a loro gravitano altri personaggi. Fra questi spicca Maria Rinaldi, l’anziana vicina di casa di Chantal. Nel romanzo si narrano le drammatiche vicende di una famosa famiglia di cineasti romani e si abbraccia un ampio arco temporale. Si passa da Alberto Fusco, il vecchio proprietario della villa in cui avviene il delitto, a Matteo Fusco, un adolescente che rispecchia solo in parte i tratti caratteristici dei giovanissimi degli anni Novanta. Anni in cui si svolge l’azione. Il fatto che io mi sia mossa nell’ambiente del cinema ha sicuramente accentuato la componente visiva della mia scrittura. Più che in altri miei romanzi, qui, ho avvertito la necessità di presentare la storia come se fosse un film che scorre davanti agli occhi del lettore.

Le case. Dalla Villa Fedora, detta Il castello, alle abitazioni più modeste. Sono gli ambienti a raccontare chi li abita. Le case diventano anche testimoni e complici di delitti e mali familiari?

I fatti si svolgono a Roma, ma non ci sono riferimenti ai luoghi più conosciuti e famosi della città. Ho scelto alcuni quartieri: Coppedè, Prati, Flaminio e Centocelle proprio perché volevo entrare nella dimensione domestica delle varie abitazioni. Dalla splendida villa liberty al piccolo appartamento di un quartiere periferico romano. È come se si camminasse sempre dentro. Non si è mai fuori. Le problematiche familiari, i conflitti, le piccole violenze quotidiane, le ferite dell’anima nascono in un interno. La casa non è più un porto sicuro, ma un posto dove tutto può finire male.

Che rapporto hai con Chantal? Com’è stato passare da un punto di vista maschile, quello di Neri, a quello della Chiusano?

Quando ho scelto un uomo come protagonista, l’ho fatto perché volevo sfidare me stessa e perché non volevo correre il rischio di cadere nell’autobiografico. Volevo un personaggio da scoprire a mano a mano che procedevo nella sua conoscenza, con la curiosità che da sempre mi spinge a perlustrare la mente maschile. Scegliere Chantal, invece, è stata una necessità. Anche se inevitabilmente le avrò donato qualche frammento di me, sono molto diversa da lei. Non ho mai avvertito l’esigenza di identificarmi con un alter ego. Ma il fatto che lei sia una donna mi permette di esprimere appieno il punto di vista femminile. Chantal si muove in un mondo, quello dei primi anni Novanta, a prevalenza maschile. Ancora oggi molte eroine letterarie, che conducono indagini criminali, assumono comportamenti lontani dalla propria natura, oppure accentuano quegli atteggiamenti che gli uomini si aspettano da loro. Con Chantal non succede. La mente femminile segue percorsi diversi da quelli maschili e spesso questo significa avere una marcia in più. Con buona pace dei colleghi e con la speranza che “l’altra metà del cielo”, proprio per la sua diversità, possa essere apprezzata come meriterebbe.

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