“BREVE STORIA DEL ROMANZO POLIZIESCO” di LEONARDO SCIASCIA

INTERVISTA A ELEONORA CARTA CURATRICE E AUTRICE DELL’INTRODUZIONE

di Cristina Marra 06/03/2022
Le interviste di Cristina
sciascia poliziescoReggio Calabria. (nella foto Cristina Marra, Eleonora Carta, Rosario Russo e Gaudenzio Schillaci). La collana Parva di Graphe.it si arricchisce di una nuova chicca letteraria con “Breve storia del romanzo poliziesco” di Leonardo Sciascia, pubblicato per la prima volta come testo a sé e comparso nel 1975 sul settimanale Epoca e successivamente su raccolte edite da Adelphi, il testo proposto testimonia la capacità letteraria innovativa dello scrittore siciliano e il suo intuito nell’esaltare il genere giallo-poliziesco non più come lettura d’intrattenimento leggero ma come genere capace di “insinuare inquietudine e stimolare il pensiero critico”. Con Eleonora Carta, scrittrice di thriller e profonda conoscitrice del genere giallo, curatrice del libro e autrice dell’attenta e accurata introduzione indaghiamo a fondo la posizione di Sciascia nei confronti del genere che nel tempo si è affermato come quello più letto e apprezzato dai lettori.
 
Eleonora, sei scrittrice di thriller e lettrice forte, quando ti sei avvicinata ai libri di Sciascia?sciascia poliziesco

Ricordo bene la copertina bianca della prima edizione de “Il giorno della civetta”, preso in prestito dalla biblioteca negli anni del liceo. Un caso eccezionale, dato che come lettrice mi sono formata sulla letteratura straniera, in gran parte americana, e che provavo una certa ritrosia a leggere autori italiani, oltre a quelli su cui passavo ore di studio per le interrogazioni.
Fu una scoperta esaltante, perché nel mio immaginario Sciascia era molto legato al concetto di “sicilianitudine” – quasi che la sua fosse una sorta di letteratura regionale - e invece mi sono trovata di fronte a un’opera che non aveva niente da invidiare, in termini di universalità, a Raymond Chandler o Edgar Wallace. 
Da allora ho letto e riletto molto di Sciascia - credo tutta la sua bibliografia, molti libri più di una volta - ma solo in tempi più recenti ho capito quanto sia stato fondamentale nel definire il ruolo e la responsabilità di chi scrive letteratura gialla.
Piccola nota di colore (naturalmente giallo): la “Breve storia del romanzo poliziesco” di Leonardo Sciascia, ora ripubblicata da Graphe.it per la prima volta come opera a sé, è stato il mio primo riferimento nella stesura di “Breve storia della letteratura gialla” altro saggio che ho scritto per Graphe.it nel 2019.
 
 
Sciascia è stato uno scrittore controcorrente e precursore dei tempi, e  ha promosso e sdoganato i romanzi gialli. Qual è stata la molla che ha fatto scattare in lui l'intuizione sulla grandezza della narrativa gialla?

Credo ne abbia avuto immediata percezione da lettore, (scoprì ed esaltò il personaggio del Maigret di Simenon quando era ancora sconosciuto, o direttamente bollato come “sotto-letteratura”) e per questo abbia scelto di farsene interprete, tanto ben calato nella sua missione letteraria da divenire quasi uno “scrittore-investigatore”. Sciascia prima di molti ha compreso quali potenzialità letterarie e di indagine sociale portava con sé l’analisi del crimine, del contesto in cui matura, del funzionamento (o  malfunzionamento) degli apparati investigativi e giudicanti, dell’attesa spesso frustrata della soluzione del caso. E ha deciso di rendere il romanzo poliziesco strumento d’elezione per raccontare l’esistente, un osservatorio privilegiato sul male che abita la società, fin nelle sue pieghe più recondite.
 
Con Sciascia nasce il romanzo verità?

È attorno alla verità che nel giallo si vengono a disporre tutti gli attori in scena. Chi si adopera per portarla alla luce, e chi invece agisce, con varietà di scopi, per sopraffarla, manipolarla, e tenerla nascosta. Allontanandosi dalla detection del giallo classico, la ricerca della verità in Sciascia arriva a contrapporsi al sistema, al potere costituito, a un uso strumentale della politica; e pone all’autore, al lettore, e all’investigatore questioni etiche, filosofiche, metodologiche, sul dubbio e sull’errore, sulla giustizia e sul giudizio, di diritto e di legittimità.  Sappiamo che la verità è spesso maltrattata.
Se Dürrenmatt aveva dichiarato la morte del romanzo giallo perché la verità non esiste, Sciascia punta il riflettore sulle forze che agiscono perché la verità – che esiste eccome – non veda la luce. E nell’indicarle, ci chiama a impegnarci per contrastarle, nella nostra vita di tutti i giorni, come lettori, come autori e anche come cittadini.
In questo, leggiamo anche la duplice natura di Leonardo Sciascia di romanziere e saggista. Il confine all’interno della sua produzione è spesso labile, perché c’è tanta arte narrativa in saggi come “La scomparsa di Majorana” o “L’Affaire Moro”, così come ci sono tanti spunti da saggista in romanzi come “Todo modo”, “Il contesto” o “Il consiglio d’Egitto”. Come lui stesso ebbe a dire: “Credo di essere saggista nel racconto e narratore nel saggio. Dirò di più: quando mi viene un’idea di qualcosa da scrivere, breve o lunga che sia, non so in prima se mi prenderà la forma del saggio o del racconto”.
 
Che rapporto aveva Sciascia con Borges?

È sempre meraviglioso scoprire che i sentieri dei grandi autori, anziché biforcarsi come nel giardino del racconto di Borges, finiscano per incontrarsi. Sciascia non nascose la sua grande ammirazione per l’autore argentino, che ebbe anche occasione di incontrare, a Roma, nel 1980. I processi mentali dell’investigazione, come riproposti da Sciascia, ci riportano ai processi filosofici e filologici delle finzioni di Borges. Perché la struttura di ogni buon romanzo giallo (come ebbe a dire Manganelli), sta nella sua attenzione per le cose trascurabili che sappiamo essere piene di senso; nell’idea che l’universo sia composto di tanti piccoli elementi significativi, che è nostro dovere cogliere e interpretare.
 
Sardegna e Sicilia, due isole  che pullulano di autori di gialli. Qual è secondo te il segreto che le rende fucine di idee e creatività? 

La natura delle Isole genera micromondi. Forse addirittura microuniversi, in cui si vengono a formare una diversa grammatica emotiva, una diversa dialettica, diverse visioni del mondo e della vita, quindi anche del crimine e del modo di declinarlo. E poi c’è il rapporto viscerale e inspiegabile che lega noi autori isolani alla nostra terra, e ci investe della missione quasi sacra di indagarla e raccontarla. Di provare a trasportare anche gli altri nella nostra realtà, che consideriamo, forse un po’ ingenuamente, la più autentica, la più vera, la più bella da essere vissuta. Questo credo sia il segreto.

Articoli EMOZIONI

Contattaci