ANNA VERA VIVA, MAESTRA DEL GIALLO, TRA I VICOLI DEL RIONE SANITÀ

NEL CUORE DI NAPOLI “QUESTIONI DI SANGUE” METTE DUE FRATELLI A CONFRONTO

di Cristina Marra 13/04/2022
Le interviste di Cristina
ANNA VERA VIVAReggio Calabria. Scrittrice, viaggiatrice e appassionata di arte, ama aggirarsi per musei e gallerie, Anna Vera Viva è autrice romanzi e sceneggiature, salentina, ha scelto Napoli come città dell’anima in cui vivere e scrivere. In “Questioni di sangue” il suo giallo ambientato nel rione Sanità, cuore della città partenopea, il bene e il male si fronteggiano, si annusano, si scontrano. Peppino e Raffaele, due fratelli separati negli anni dell’infanzia si ritrovano davanti a un crimine che coinvolge il rione e la sua gente. Uno è diventato il boss del quartiere, l’altro il parroco della Basilica di Santa Maria.   
 
Anna Vera, “Questioni di sangue” inaugura una serialità, perché hai scelto di ambientarlo nel rione Sanità?

Perché è un rione di un fascino complesso e indiscutibile. Colmo di magia, leggende, culti seducenti e che affonda le sue antichissime radici in epoche buie ma anche in periodi di fasti e ricchezza. Prima luogo salubre abitato da aristocratici, poi cimitero, lazzaretto per appestati, fossa comune. È un luogo così denso di vita e di morte che non può che incantare un narratore.

Raffaele e Peppino, fratelli diversissimi ma legati dallo stesso sangue, possiamo considerarli la doppia faccia dello stesso personaggio?ANNA VERA VIVA

Forse, addirittura, lo stesso personaggio. In qualche modo, Raffaele e Peppino, sono composti dalla stessa sostanza, dagli stessi tasselli che, però, hanno sviluppato due forme differenti. Nessuno dei due è perfettamente buono o cattivo, giusto o ingiusto. Non ci sono confini netti tra le loro anime e, a volte, anche i rispettivi ruoli si confondono. È la complessità dell’essere umano, che raramente può definirsi con sicurezza bianco o nero ma, più spesso, è tutto questo nello stesso tempo. E, tra i due don, questo gioco delle parti, diventa un elemento che li fa vacillare, che li tormenta.

Il tema del doppio ricorre spesso nel romanzo?

Come dicevo, il tema del doppio è il tema della vita.  Il personaggio e il suo doppio fanno parte di un’unica realtà  ontologica che è stata divisa e, per questo motivo, entrano in una sorta di conflitto anche interiore, che deve essere in qualche modo risolto. Ci sono due tipi possibili di conclusione. Una sfocia nella tragedia: il personaggio e il suo doppio muoiono senza essersi ricomposti, senza aver risolto il conflitto, la seconda è la riconciliazione delle due parti che può avvenire in vari modi. In ogni caso, non si può eliminare il doppio che ci cammina a fianco se non sopprimendo noi stessi.

Indaghi un rione che diventa un macrocosmo sociale, le indagini pescano nelle famiglie, nei rapporti di sangue e niente è come appare. Il romanzo è anche una storia di formazione?

Si lo è senz’altro, le trasformazioni e la crescita dei personaggi nel dipanarsi del romanzo attendono sicuramente a questo genere ma, purtroppo, la presenza del crimine, che è solo uno dei tanti elementi che compongono la narrazione, portano a una semplicistica quanto moderna classificazione in noir o giallo che dir si voglia. Alla quale sarebbe giusto affiliare solo quegli scritti dove il rompicapo è l’unico elemento del racconto. Per tutti gli altri dove, per l’appunto, oltre al delitto c’è una ricerca antropologica, un’analisi dell’animo umano e, comunque, uno spettro più complesso e ricco d’osservazione, bisognerebbe forse trovare un termine nuovo anche se, a mio avviso, con il classico “romanzo” non si sbaglia mai . Nel mio caso, ad esempio, il delitto è un pretesto per studiare l’animo umano fuori dalla zona di confort. Di analizzarlo quando un evento ha rotto l’ordine precostituito e quando non si può più vivere per automatismi ma tutte le passioni e le risorse a nostra disposizione devono essere messe in gioco.
 
ANNA VERA VIVAFratelli ma anche genitori, quanto è stato difficile indagare i misteri che si insinuano all’interno delle famiglie?

A nessuna situazione si adatta meglio il detto “Niente è come sembra”. Le famiglie sono un calderone di segreti, passioni e sentimenti d’ogni tipo che non hanno alcun desiderio di essere svelati.
Dalle più innocue alle più traumatiche, tutte le famiglie sono un circolo chiuso che, per comune accordo, mostrano al mondo la facciata che ritengono più socialmente accettabile. Indagare è difficilissimo in quanto l’omertà viene vissuta come una forma di dovere innato, anche quando è ottenuta con la coercizione. E di questo potrebbero testimoniare a iosa le forze dell’ordine. Quando poi, si riesce a scalfire la superficie, ci si trova disorientati dalla moltitudine di versioni che ci vengono proposte, una per ogni singolo componente del nucleo familiare. Questo a rivelare che, alla fine, non esiste un'unica verità neanche all’interno delle mura domestiche.

Che rapporto hanno i tuoi protagonisti con i libri?

Ottimo, almeno Peppino e Raffaele. Per quanto riguarda Raffaele è più naturale che un uomo vissuto in una famiglia colta si trovi ad amare la lettura, Peppino, invece, sorprende, perché è inusuale che un uomo di malavita abbia un bel rapporto con la cultura. Poi si scopre che è un’eredità della prima moglie, l’ennesimo segno tracciato dall’amore.

L’ispettore Carmine Vitiello è un solitario e un randagio, che rapporto instaura con don Raffaele e in cosa si assomigliano?

L’ispettore Vitiello è un uomo deluso da un sistema non sempre retto e che ha provato, per tutta la vita, a percorrere comunque la strada  giusta a discapito della carriera e della sua vita privata. Ma è un uomo che non ha più energie per sostenere altre battaglie. Raffaele gli somiglia solo per questo senso di giustizia innato che non deve mai prescindere dall’etica ma, a sua differenza, è pieno di slancio e voglia di combattere.

Da Assuntina a Amalia a Anna, mi racconti i tuoi personaggi femminili?

Sono tutte degli archetipi. Assuntina, la perpetua, sembra soltanto una donna curiosa, bruttina, un po’ pettegola, vivace, con un sano buon senso e tanto cuore. Ma in effetti è la tipica donna d’altri tempi  cui, nonostante la spiccata intelligenza, è stato in qualche modo impedito di studiare e che s’industria a mettere a frutto le qualità di cui è naturalmente dotata nell’ambito della la vita che gli è stata permessa.
Amalia è una di quelle madri sempre presenti, eccessivamente protettive, convinta in buona fede di fare il bene dei propri figli e che per questo, invece, soffocano ogni possibilità di esprimersi e di formarsi di un individuo.
Anna è un essere raro, di quelli che un po’ per privilegio sociale e un po’ perché sono proprio incapaci di vedere il male, sviluppano un’ingenuità autentica, bellissima quanto pericolosa.

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